
Cronache Terrestri
Prendiamo a prestito il titolo di una celebre raccolta degli articoli di Dino Buzzati, edita da Mondadori. Il grande scrittore, giornalista del Corriere, per descrivere il Giappone, in un’epoca in cui la televisione non era ancora diffusa e gli squarci sulla vita degli altri paesi erano dati soltanto dagli inviati dei grandi giornali, iniziava così: “le nuvole sono esattamente uguali alle nostre”. Buzzati voleva significare che in Giappone tutto il resto era diverso. Oggi il Covid-19, titolo scientifico (e asettico) della peste 2020 sta livellando il mondo. The Italian Times con Cronache terrestri offre per i lettori una sintesi delle notizie e degli umori del giorno, con due certezze: a) è fondamentale informare ed essere informati per poter meglio capire quanto ci sta succedendo; b) dobbiamo conservare, nella grande paura e nella grande speranza, lucidità e capacità di selezionare i fatti rilevanti da quelli che lo sono meno, oltre che dal grande cicaleccio dei social e dal proliferare degli esperti tv.
Come volevasi dimostrare, proprio mentre il virus sembra stazionario e nonostante gli avvisi ricevuti da più parti, il governo sta fallendo la seconda prova più importante dell’emergenza coronavirus dopo quella sull’erogazione della cassa integrazione e dei mitici 600 euro alle partite Iva: a 24 ore dell’approvazione e dell’annuncio non c’è ancora il testo del decreto che dovrebbe dare liquidità alle aziende, ma soprattutto non sono stati ancora definiti i meccanismi per accedere ai finanziamenti. L’ultimo scontro è sui bilanci 2019, che tantissime aziende non hanno ancora approvato e che invece sono ritenuti essenziali. Come se non bastasse, i burocrati del Mef vorrebbero avere anche la situazione “andamentale” delle aziende, cioè i dati dei primi tre mesi dell’anno, per far partire le pratiche. Se le cose restano così, ci vorranno mesi per far arrivare i primi soldi, mentre i concorrenti tedeschi o americani già li hanno ricevuti. Peggio ancora, si sta discutendo se subordinare le garanzie, che non sono al 100 per cento come in altri paesi, ad altre garanzie precedentemente date alla propria banca; in sei anni poi è difficile restituire, ci vogliono almeno 10 anni, con un preammortamento di due.
Il fatto è che si continua ad agire nella grande emergenza con le logiche dei tempi di pace in un paese con ancora un livello di benessere sufficiente a sopportare una classe politica inetta, che ha speso molto più tempo per litigare su chi doveva gestire politicamente gli aiuti, e quindi i rapporti con le aziende, che non a mettere la testa sull’operatività delle norme, su come i soldi potessero arrivare a destinazione subito e senza burocrazia. Infatti la Sace, l’istituto che assicura i grandi e piccoli contratti con l’estero delle aziende al termine di un duro scontro tra piddini e grillini è stata sfilata alla Cassa Depositi e prestiti per essere affidata ad un comitato di gestione composto dal Ministero dell’Economia, (Gualtieri), dalla stessa Cdp e dalla Farnesina (Di Maio). Intanto, paradosso finale, gli imprenditori hanno preso a telefonare alla sede Sace di Roma, dove non risponde nessuno perchè naturalmente i dipendenti sono a casa, in modalità smart working. E nessuno si chiede se la struttura Sace è in grado di far fronte velocemente alle richieste, con il rischio concreto di ripetere un altro caso Inps.
Intanto, tanto per non farci mancare niente, potrebbe scoppiare un caso simile a quello degli ospedali lombardi al Sant’Andrea di Roma: si parla di circa 70 contagiati tra i medici su un totale di 400, non ci sono mascherine e altri apparecchi di difesa e personale sanitario, pazienti e malati si intrecciano con scarsissime protezioni. Cosa fa Zingaretti, oltre a occuparsi di Sace, come una sorta di vice Gualtieri?
Altro tema caldissimo che siamo costretti solo a denunciare per titoli, non avendo la possibilità di andare sul posto a verificare: sembra che centinaia e centinaia di migliaia di mascherine che sono state comprate all’estero siano ferme nei depositi, in attesa che la Protezione civile o chi ha la responsabilità di decidere si decida a ritirarle per distribuirle. Perchè sono ferme? Si vogliono favorire le mascherine fatte in Italia? Bene, ma se non sono pronte buttiamo sul mercato, a cominciare dalla Lombardia, quelle già acquistate? E poi: quanto costano le une e le altre? E’ vero che balla quasi un euro di differenza su ognuna? E se della faccenda dovesse occuparsene la magistratura, come già qualche tentata truffa fa supporre, diamo al mondo anche questo spettacolo? Siamo certi che Domenico Arcuri voglia porvi rimedio, in fondo fa parte delle sue competenze.