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Ritratti (poco) diplomatici

Cosa consiglierà Cummings a Boris Johnson all’undicesima ora?

Chi è lo spad (special advisor) del premier inglese: nonostante qualche stranezza, dopo l’hard Brexit vuol fare dell’Inghilterra la nuova Silicon Valley.

Cosa consiglierà Cummings a Boris Johnson all’undicesima ora?

La storia è piena di consiglieri di sovrani, primi ministri, leader politici. Individui che, in ragione del loro ruolo che è funzionale a “servire” il capo, non amano apparire, tanto che molto spesso la maggior parte dell’opinione pubblica non sa nemmeno della loro esistenza. È dunque abbastanza curioso e inusuale che un personaggio come Dominic Cummings, principale consigliere del Primo ministro britannico Boris Johnson, sia salito agli onori (o disonori?) delle cronache lo scorso 25 maggio per una conferenza stampa tenuta direttamente dal giardino del “numero 10” di Downing Street. Cummings, che da anni non appariva in televisione, ha dovuto giustificarsi pubblicamente per avere violato le regole del lockdown e avere raggiunto, a bordo della propria auto, l’abitazione dei suoi genitori a Durham (nel nord dell’Inghilterra) per lasciare loro la figlia durante la fase più acuta della pandemia. In un Paese dove il rispetto delle regole di senso civico è fondamentale e in cui diversi ministri si sono dimessi per motivi che dalle nostre parti sarebbero ritenuti “futili” (pensiamo al consigliere scientifico Neil Ferguson che è stato “pizzicato” mentre si recava dall’amante in barba alle misure di distanziamento sociale e ha immediatamente lasciato il suo posto), è indicativo come Cummings abbia ricevuto il pieno sostegno da parte di BoJo. 

 

Per capire l’importanza della figura di Cummings, lo “Spad” (special advisor nel gergo fatto di acronimi che impera a Whitehall, il quartiere dei ministeri in zona Westminster) più importante dell’attuale governo conservatore, dobbiamo fare un passo indietro. Quarantanove anni, laureato in Storia a Oxford, il “Rasputin di Durham” ha una lunga carriera da consigliere all’interno del partito Conservatore. Dopo essersi distinto come advisor di Michael Gove (attuale Capo di Gabinetto) al Ministero dell’Istruzione per i suoi toni decisamente poco diplomatici contro dipendenti pubblici e sindacati, raggiunse la consacrazione gestendo la campagna referendaria del 2016 in favore della Brexit come promotore del comitato “Vote Leave”. Un’azione dall’innegabile successo, ben documentata dalla serie tv britannica “Brexit: the Uncivil War”, in cui Cummings (interpretato da Benedict Cumberbatch) ha un ruolo cruciale. È comprensibile dunque come un simile fautore della Brexit più “hard” non potesse andare d’accordo con l’allora Primo Ministro David Cameron – autore di uno dei più clamorosi suicidi politici della storia recente – che lo definì addirittura “un carrierista psicopatico”. Ed effettivamente sembra difficile incasellare Cummings nelle categorie “tradizionali” delle figure di governo, ripensando all’annuncio pubblicato a gennaio 2020 sul suo blog personale nel quale, in cerca di candidati per comporre il suo nuovo staff a Downing Street in seguito alla vittoria schiacciante di BoJo alle ultime elezioni, incoraggiò a fare domanda “weirdos and misfits with odd skills” (“strani e disadattati con capacità fuori dal comune”). 

Al di là di stranezze e di un carattere ruvido, non si può di certo negare che Dominic Cummings sia dotato di una mente estremamente acuta e intelligente. Intransigente verso l’Unione Europea (e spietato anche verso David Davis, responsabile britannico della prima fase dei negoziati, che definì “pigro come un rospo”), il consigliere di BoJo è fautore dello slogan “Get Brexit done”, grazie al quale il premier ha trionfato alle elezioni di dicembre scorso. C’è Cummings dietro alla ferma volontà del Governo britannico di tirare dritto e non chiedere alcun rinvio del periodo di transizione, nonostante la crisi economica scoppiata per la pandemia: non il ministro degli Esteri Dominic Raab, né il capo negoziatore David Frost. Una posizione che potrebbe sembrare un azzardo, ma che va vista nel quadro complessivo della strategia del consigliere di Johnson: fare della Gran Bretagna una nuova “Silicon Valley”, un’economia basata sull’innovazione dove le “scienze dure” (ingegneria e matematica) dovranno avere un ruolo più centrale. Nel difficile contesto attuale, non solo per Londra ma per l’intera economia globale, è difficile sostenere se questo piano avrà successo, anche per le crescenti pressioni che il Governo dovrà affrontare dal settore privato, terrorizzato da una recessione che potrebbe arrivare quest’anno fino al 14% del Pil. Cummings consiglierà a Johnson di tirare dritto o di svoltare in extremis (o, come dicono gli anglosassoni, at the eleventh hour) verso una direzione più prudente?

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