Di Battista interviene sull’economia e Grillo scatta a difesa di Conte

La sortita del movimentista grillino mette in mora anche il Pd: tutto si gioca sul Mes e sulla capacità del governo di passare dalla parola ai fatti

Di Battista interviene sull’economia e Grillo scatta a difesa di Conte

Perché improvvisamente Alessandro Di Battista, il piccolo Che Guevara di Roma Nord, il grillino movimentista che non è andato al governo e che si tiene occupato girando improbabili documentari in giro per il mondo é tornato chiedendo il congresso dei 5 Stelle?

 

E perché Beppe Grillo, il fondatore, gli ha subito risposto riemergendo dalla quarantena e difendendo a spada tratta il premier?

 

La risposta riguarda gli assetti di potere che si muovono intorno alla difficilissima situazione economica, e quindi alla distribuzione assistenziale del debito che il governo sta facendo anche con una certa allegria e compiacimento (vedi Stati generali) ma senza ancora mettere mano a proposte concrete e ritardando la cassa integrazioni nonostante le promesse del presidente dell’Inps Tridico, di cui ancora nessuno chiede le dimissioni.

Domenica Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera ha fatto sapere con uno dei suoi sondaggi che se Conte facesse un suo partito prenderebbe il 14 per cento.

 

Se invece si mettesse alla testa del Movimento 5 Stelle lo riporterebbe al 30 per cento dal 15 cui è precipitato.

 

E così si è scatenata la bagarre: Dibba, come familiarmente viene appellato Di Battista dai suoi fan, non poteva perdere l’occasione anche perché la sua analisi di partenza è corretta: «È bene che il Movimento si faccia carico del disagio sociale che sta arrivando e lo faccia prima che se ne occupino quelli che lo hanno provocato.» Cioè Conte e i suoi ministri, con i ritardi, le indecisioni e le passerelle.

La difesa dell’ala governativa del Movimento è scattata subito: oltre al redivivo Grillo, il Fatto, organo ufficiale del contismo, ha schierato Paola Taverna, l’altra pasionaria grillina.

 

Ora si aspetta a minuti il pronunciamento di Luigi Di Maio, che ieri era a Sabaudia allo stabilimento Saporetti a prendere il sole con Virginia Saba, che è sì filogovernativo ma non ama più tanto Conte. Non ha tuttavia molti spazi di manovra, anche se muove molti parlamentari e al governo è riuscito a spostare tutto il commercio estero e i suoi bracci operativi sotto l’ala della Farnesina.

Il punto di fondo resta però uno solo: ci si sta disponendo sulla scacchiera per mantenere o partecipare ad un presunto banchetto del potere per ricostruire l’economia devastata dal Covid, ma facendo i conti sinora senza l’oste, cioè senza la capacità di mettere a terra piani concreti, scelte e decisioni effettive da parte di un governo a trazione contiana, con grillini (eccetto Di Maio) e piddini (eccetto il sempre sorridente Gualtieri che insieme al capo della Cassa depositi e prestiti, Palermo, gestisce il potere del Mef sulle aziende pubbliche e insieme vagheggiano di nuove Iri) sostanzialmente alla finestra. E dando per scontato che prenderemo i soldi del Mes, cosa che costringerà i 5Stelle ad un’altra gigantesca acrobazia.

Il pronunciamento di Di Battista sulla terza rete Rai con la storicamente vicina al Pd Lucia Annunziata è una sveglia anche per il partito di Zingaretti, che sta subendo le iniziative propagandistiche di Conte senza reagire granché, a parte alcune impuntature di Franceschini, capo delegazione del partito al governo.

 

E che la situazione al Nazareno non sia allegra è riassunta così da Fabrizio Rondolino, ex collaboratore di D’Alema oltre trent’anni fa a palazzo Chigi: «Zingaretti e i suoi hanno costruito un capolavoro politico che nessun altro, in cento anni di storia del movimento operaio, aveva anche solo ipotizzato: regalare l’intero partito ad una Srl di analfabeti.»

Rondolino esagera un po' non essendo più impegnato nel partito da anni e anni, ma non ha torto. Anche perchè l’assistenzialismo esasperato che ha contraddistinto i grillini dal decreto dignità al reddito di cittadinanza e al futuribile reddito di emergenza non sarà facile da sradicare per nessuno, anche se si cambiasse governo.

 

Conte ovviamente non ha nessuna intenzione di farlo, e a parte la momentanea distrazione dei giornali dai suoi Stati generali e dallo scambio di tweet con Miley Cyrus, continua a vagheggiare di piani mirabolanti per rilanciare l’economia dopo aver accantonato le proposte di Colao e della task force che lui stesso aveva nominato.

Il Paese si trova dunque stretto tra la padella e la brace: tenere Conte (a patto che la smetta con le passerelle e produca risultati, si occupi cioè di quella “execution” che gli chiederà mercoledì Bonomi a nome di una Confindustria compatta nell’incazzatura), oppure capire sin dove la sortita di Di Battista potrebbe preludere ad un altro scenario, più difficile anche per la ritrosia di Mattarella ad andare ad elezioni o a dare una vera frustrata al governo.

 

I Cinque Stelle ovviamente non vogliono le elezioni per non doversi affidare a Conte e per non provare a che punto è la loro effettiva presenza politica nel Paese, visto che lo scollamento tra rappresentanza parlamentare (sono il primo partito) e consenso sociale (bassissimo) é al minimo storico. Eppure, in questo scenario Virginia Raggi, emblema dell’incapacità di amministrare dei grillini, progetta di ricandidarsi, mentre di competitor vincenti ancora non se ne vedono.

Il rischio concreto é che la televisione ormai ben manovrata da Conte e dall’ufficio stampa di palazzo Chigi rifocalizzi subito le attenzioni su Villa Pamphili non lasciando nemmeno il tempo di capire se é il caso di vedere dove va a parare la sortita di Di Battista, il quale comunque ha messo il dito nella piaga dell’economia, cosa che Conte continua di fatto a negare, preso com’è dalla grande bellezza del Casino del Bel respiro, e soprattutto dalla immensità dei propri piani per far ripartire tutto e tutti, cominciando dai monopattini incentivati che rischiano di fare danni a utilizzatori e passanti sui marciapiedi del dopo (si spera) lockdown.

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