Dura poco l’ebbrezza della ‘vittoria’ al vertice europeo sul Recovery Fund, che nell’arco di poche ore il Governo si ritrova a fare i conti con la dura realtà. La manovra di scostamento di Bilancio adottata dal Consiglio dei ministri per un ammontare complessivo di 25 miliardi rischia di non avere i numeri in Parlamento per essere approvata. Il problema è al Senato. Per il “ricorso all’indebitamento” serve il disco verde a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna delle assemblee legislative. A Palazzo Madama ne occorrono 161. Che Pd, M5S, IV e Leu non raggiungono più.
E se le due precedenti ‘manovre’ dovute all’evento eccezionale della pandemia e del lockdown votate in primavera sono andate in porto con l’appoggio di Fratelli d’Italia, Lega e FI, adesso il rischio è che l’opposizione si defili. Giorgia Meloni ha già annunciato che se “il Governo non mette nero su bianco cosa vuole fare con le risorse” da impegnare “non vota” il provvedimento. “Finora noi siamo stati responsabili e abbiamo votato gli scostamenti di Bilancio per 80 miliardi di euro totali”, ha detto la leader di FdI. “Oggi è il Governo a dover dimostrare responsabilità ed è quello che chiedo: i soldi degli italiani, soprattutto quando si tratta di debiti fatti sulle spalle dei nostri figli, non si buttano per pagare le consulenze dei ministri mentre si rischia una ecatombe occupazionale”. Anche Salvini alza il tiro e pone le sue condizioni. “L'eventuale appoggio della Lega dipende dal fatto che Governo e maggioranza accolgano le nostre proposte. Due in particolare: l'anno bianco fiscale e il filone della cuola-disabilità. Non stiamo chiedendo miliardi ma spicci, se ci diranno sì, è possibile che l'atteggiamento della Lega sia di un certo tipo, altrimenti in Aula i numeri se li trovano da soli". E da Forza Italia: “Nessuno scostamento di Bilancio a scatola chiusa”.
La proposta di ulteriore indebitamento varata dal Governo dovrebbe arrivare in Parlamento il prossimo 29 luglio. Ma non è solo lo scostamento di Bilancio ad agitare le acque di maggioranza e opposizione. In questi giorni il tema caldo è pure quello della legge elettorale. Si è rotto, infatti, il ‘patto’ chiuso a gennaio da centrosinistra e Movimento 5S sul ‘Germanicum’. A dare forfait sul ritorno al proporzionale puro con soglia di sbarramento al 5% i renziani che, inizialmente - anche se con qualche riserva - si erano espressi a favore. Ieri in Commissione Affari Costituzionali della Camera non si è riusciti a calendarizzare la discussione e l’approvazione del testo base è slittata. I diktat del segretario Pd delle ultime ore, che pressava per stringere i tempi e procedere quanto prima all’approvazione in prima lettura della pdl, non sembrano andati a buon fine. Forza Italia fa la voce grossa: “Di forzature in questa legislatura ne abbiamo già viste abbastanza. Se il Partito Democratico pensano di regolare i conti nella maggioranza usando la legge elettorale, si sbagliano di grosso. Il Parlamento”, tuona la capogruppo a Montecitorio, Maria Grazia Gelmini, “non è la ditta e le regole del gioco non si scrivono così. Zingaretti se ne faccia una ragione: non ci sono le condizioni perché la legge vada in aula a fine luglio”.
Andare allo scontro con Berlusconi e i suoi, almeno in questo momento, è quanto di meno conveniente possano fare il Pd e la maggioranza. I voti degli azzurri potrebbero essere d’aiuto per quegli ulteriori 25 miliardi che il Governo ha bisogno di aggiungere alle manovre precedenti. Il sostegno che il cavaliere non ha fatto mancare a Palazzo Chigi in questa fase di emergenza e nella battaglia in Europa sul Recovery Fund assomiglia a un varco aperto, che la maggioranza farebbe bene a non chiudere.
Di certo però ci sono manovre al centro. E nulla sembra essere scontato. Tre ex forzisti – i senatori Gaetano Quagliariello di ‘Idea’, Paolo Romano e Massimo Berutti di ‘Cambiamo’, il movimento di Giovanni Totti, sono approdati al gruppo Misto di Palazzo Madama. Dichiarano di essere all’opposizione del Conte II, ma le geometrie politiche possono sempre cambiare. Non è remota l’ipotesi che l’ala moderata e popolare del centrodestra che mal tollera la linea sovranista e nazionalista di Salvini e della Meloni, seppur con dei distinguo tra i due, possa cercare e trovare una sponda in area centrosinistra. Casini docet: eletto nelle liste del Pd ma ex alleato di ferro del Popolo delle Libertà e per questo presidente della Camera dei Deputati nella legislatura 2001-2006 insiste: “Conte tenga aperto il canale con l’opposizione”.