
Tre migranti sudanesi hanno perso la vita nella sparatoria di lunedì notte a est di Tripoli, nei pressi di Khums. Altri quattro hanno subito ferite. Sono stati attaccati durante le operazioni di sbarco, dopo che la Guardia costiera libica aveva ricondotto verso la costa un barcone intercettato al largo. Secondo quanto riportato dalla IOM (Organizzazione internazionale per le Migrazioni), le autorità locali hanno aperto il fuoco appena i migranti hanno iniziato a fuggire, una volta arrivati a terra. I sopravvissuti sono stati trasferiti nei centri di detenzione.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) – si apprende in una nota - ha richiesto l’avvio di un’indagine affinché si agisca con urgenza e si identifichino porti sicuri e sistemi alternativi per i futuri sbarchi.
Intanto, oggi, si legge che, in Sardegna, ci sono stati nuovi arrivi di migranti provenienti dall’Algeria. Nelle coste sud-occidentali dell’isola, la Guardia di Finanza e i Carabinieri sono stati impegnati nelle operazioni di ricognizione dei 49 migranti. E, a Lampedusa, sono iniziati i trasferimenti dei rifugiati dall’hotspot dalla tensostruttura di Porto Empedocle.
Quest’area costiera ha una forte economia turistica estiva. Ha conosciuto - da sempre - flussi di vacanzieri particolarmente alti, che hanno generato un’ingente fonte di entrata per gli isolani. Ma questi, oggi (come sentiamo anche dai telegiornali), assistono a una contrazione degli affari, non solo per via della pandemia del coronavirus, ma anche per la minore sicurezza percepita a causa dei frequenti sbarchi e del sentimento – sempre meno rassicurante - che si è creato attorno alle immagini degli affollatissimi hotspot.
Si conta che, dall’inizio del 2020, le coste italiane abbiano registrato sbarchi di 12.533 migranti. Si tratta di numeri triplicati rispetto ai livelli del 2019 (3.599 persone). L’entità degli sbarchi sono monitorati costantemente dal Ministero dell’Interno, i cui dati dimostrano che una percentuale significativa sul totale 2020 (2.622 migranti pari al 20,9%) sia sbarcato negli ultimi 8 giorni. La situazione si fa sempre più tesa e calda, dato che, nonostante l’intervento e l’impegno delle nostre autorità nazionali, sbarchi e incidenti ad essi legati (o ad opera degli agenti sulle motovedette libiche e tunisine) non si arresteranno. Anzi, questi episodi intensificheranno la minaccia per la sicurezza di tutti, italiani e nord-africani. E a poco servono certe dichiarazioni a livello internazionale che esortano i Governi a potenziare la capacità di ricerca e salvataggio nel Mar Mediterraneo, attività che coinvolge le navi delle Ong.
In un’estate complicata di emergenza sanitaria - che rimarrà alla storia – cresce l’ondata di sbarchi e, in parallelo, scatta nell’opinione pubblica l’allerta covid-19. Con essa, anche i dubbi in merito all’affidabilità dell’operato di alcune Ong (tra cui quelle italiane, finanziate da risorse pubbliche) e all’efficacia della strategia dell’Unione europea (il complesso degli interventi è giudicato spesso fallimentare, dato che non si accusa che non ci sarebbe un vero e proprio monitoraggio su come vengano effettivamente spesi i soldi).
Consci della gravità dei fatti attuali, lunedì 27 luglio a Roma, sono scesi in piazza gli attivisti, i politici preoccupati per gli esiti delle politiche migratorie, ma anche cittadini e associazioni. I manifestanti hanno chiesto lo stop al sostegno economico alla Guardia costiera libica da parte dell’Italia. Si chiede anche la chiusura dei centri libici di detenzione (lager) e che si creino nuovi corridoi umanitari. La speranza è di difendere i diritti imani di popolazioni che scappano da sistemi di violenze, estorsioni, situazioni di grave povertà, conflitti, guerre, traffico di esseri umani. Che invece di trovare la morte, dovrebbero andare incontro a strutture idonee d’accoglienza.
Perché, quanto e come l’Italia finanzia le operazioni in mare?
L’obiettivo è fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e della tratta di esseri umani tramite l’addestramento dei militari libici, Dal 2017, le spese del governo italiano in Libia hanno raggiunto i 784,3 milioni di euro (di cui 213,9 riguardano missioni militari).
Si è scelto di aumentare progressivamente, da anno a anno, la dotazione disponibile per contenere - se non impedire - lo sbarco dei migranti, contribuendo parallelamente a rafforzare l‘ingerenza dell’Italia in un territorio che è stata nostra colonia e che, a seguito della sconfitta del dittatore Muammar Gheddafi nel 2011, oggi, riversa in una realtà instabile di conflitti e anarchia.
“Si” a nuovi finanziamenti genera nuova spaccatura
È arrivato poco più di 10 giorni fa l’approvazione da parte della Camera dei deputati a nuove risorse da impiegare in missioni militari del Governo italiano presso sedi estere. I finanziamenti, per il quarto anno consecutivo, sono destinati ad attività di organizzazione e preparazione dei contingenti , all’addestramento militare, al sostegno alle unità di quella che è stata costituita come “Guardia costiera della Libia” (operativa dal 2017). Le vedette e il personale ospitato a bordo sono state create appositamente, grazie al contributo dell’Italia, che ha assicurato sia il sostegno finanziario sia la preparazione del corpo militare libico. Ragione di forte scontento, appunto, da parte dei manifestanti italiani, considerando anche che – si sa - la Libia non riconosce i principi stabiliti dalla Convenzione di Ginevra del 1951.
Si punta, quindi, a assicurare il monitoraggio e la localizzazione di imbarcazioni di migranti che, percorrendo la rotta del Mediterraneo centrale, possano essere fermate prima di raggiungere le nostre coste e rispedite al Paese di partenza. Uno dei tanti problemi della Libia è la conclamata e ripetuta violazione dei diritti umani, ormai considerata una costante. La situazione nel bacino del Mediterraneo, dunque, va complicandosi sempre di più con il passare dei giorni, creando ostacoli ai Governi che stentano a trovare un punto d’appoggio favorevole a possibili trattive o negoziati per il contenimento significativo dei flussi verso l’Europa.
Il 16 luglio, a Roma, al voto che ha rilanciato il provvedimento per i nuovi finanziamenti, si sono opposte solo poche teste (23) appartenenti alle forze di governo: 7 deputati di LEU e 8 rappresentanti del PD, 5 del Misto, 3 del M5S.
Italia Viva, che conta una trentina di deputati, non ha partecipato al voto. L’ampia maggioranza, composta da 403 “si”, ha avuto come esito la proroga della partecipazione del contingente della Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri alla missione bilaterale in Libia, oltre a quanto già elencato sopra. Inoltre, con questa decisione si è data anche “luce verde” alla missione europea EUNAVFOR MED IRINI nel Mediterraneo centrale e a quella della NATO, la Seaguardian.
Ricordiamo, in sintesi, che l’ultimo triennio ha visto sbarchi, salvataggi e accordi. È nel 2017 che il Governo di Roma procede a rinnovare il trattato di amicizia che aveva stipulato con Tripoli nel 2008: un Memorandum d’intesa siglato allo scopo di bloccare le imbarcazioni di migranti che intraprendessero la rotta mediterranea verso l’Italia. È stato firmato dal Presidente del Consiglio libico Sarraj e dall’allora Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni (oggi Commissario Ue all’Economia), a Roma il 2 febbraio 2017. Come si legge nel documento ufficiale, tra gli obiettivi, vi era la definizione dei comuni impegni in vista della stabilizzazione della Libia, dei flussi di migranti clandestini e di contrasto ai traffici illeciti.
Quello che desta grandi discussioni, alimentando anche la manifestazione di lunedì scorso, è il fatto che non vi sia stato una sorveglianza effettiva dell’uso dei fondi, sia italiani che europei, destinati alle autorità libiche affinché provvedano alla corretta gestione dei migranti. Da alcune fonti di indagine, emerge che i finanziamenti, infatti, non siano stati utilizzati per il fine previsto, ma abbiano asservito alle operazioni del “nemico”, ovvero organizzazioni accusate di traffico di esseri umani e quelle milizie che hanno minacciato, negli ultimi anni, gli equilibri geopolitici dell’area, proprio a partire dal 2011,anno di evacuazione della Libia.
Le missioni italiane in Libia:
Ecco le 4 missioni attivate dall’Italia in Libia:
missione bilaterale di supporto alla Libia;
supporto alla Guardia costiera libica;
UNSMIL (missione dell’ONU in Libia);
EUBAM (missione dell’Unione europea per il controllo delle frontiere).
A queste, si aggiunge la presenza di operazioni marittime “Mare sicuro” della Marina Militare, con la missione della NATO, la Seaguardian e con la missione europea EUNAVFOR MED IRINI, la più importante e di maggiore attrazione mediatica.
EUNAVFOR MED IRINI: cos’è, come funziona e quale il bilancio
Dal 4 maggio 2020, la missione dell’Unione europea EUNAVFORMED IRINI ha iniziato le proprie attività in mare nell’area-target delle operazioni con un’unità navale francese e un aereo da pattugliamento marittimo messo a disposizione dal Lussemburgo.
L’operazione ha un bilancio di 9.837.800 euro (fino al 31 marzo 2021).
Il nome deriva dal greco “dea della pace” suggerendo una strategia di peacekeeping. È stata pianificata in pochissimo tempo e lanciata il 31 marzo, a seguito di una decisione del Consiglio europeo. Il compito principale è quello di far rispettare l’embargo di armi verso la Libia previsto dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. L’Operazione avrà anche i compiti secondari di monitorare il traffico illegale di petrolio dalla Libia, contribuendo a smantellare il traffico di uomini e le attività di contrabbando (attraverso il controllo aereo) e darà assistenza alla formazione della Guardia Costiera e Marina libica.
Il Comando in mare (Force Commander) sarà assegnato ogni sei mesi, alternativamente, all’Italia e alla Grecia. La rotazione del Force Commander avverrà assieme alla rotazione della nave ammiraglia. Il Bundestag tedesco ha approvato la partecipazione con un contingente di 300 soldati e un aereo da pattugliamento.
Inizialmente, la missione potrà contare su tre unità navali (da Francia, Grecia e Italia), un team maltese per l’abbordaggio di unità mercantili e tre aerei da pattugliamento direttamente assegnati (da Germania, Lussemburgo e Polonia) a cui si aggiunge un numero simile di assetti in supporto associato. Lo European Satellite Center (SatCen) garantirà il supporto delle immagini satellitari.
È previsto anche l’uso di sommergibili, droni (la moderna tecnologia UAVs) e aerei AEW. Particolare attenzione è stata posta al problema del virus covid-19. Il Comandante operativo ha diffuso apposite Linee guida ai Paesi partecipanti, in modo da ridurre il rischio di contagio nelle strutture e assetti. Queste però, dovranno anche essere dichiarate “covid-free” dallo Stato di bandiera prima di poter essere inseriti nell’operazione. L’operazione, tuttavia, non ha il permesso di operare all’interno delle acque territoriali libiche (ossia entro 12 miglia dalla costa della Libia).
“Alla Conferenza di Berlino, i leader hanno convenuto di lavorare insieme per una soluzione sostenibile della crisi in Libia – ha detto l’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, lo spagnolo Josep Borrell. Tuttavia, il conflitto continua a mettere la vita dei libici e l’intera regione a rischio. Per l’Alto Rappresentante, un’effettiva applicazione dell’embargo sulle armi delle Nazioni Unite sulla Libia contribuirà a raggiungere un ‘cessate-il-fuoco’ duraturo e a promuovere un accordo politico.
A capo di IRINI, un italiano, il Comandante Fabio Agostini, che esercita le sue funzioni dal quartiere generale situato a Roma, nella sede del Centro Operativo Interforze di Centocelle. In una nota stampa, Agostini ha informato che il buon esito della Force Generation Conference - lo scorso 28 aprile - e il lancio di IRINI hanno dato il via alle attività in mare con i primi mezzi messi a disposizione per la missione. A questi, si uniranno a breve altri contingenti degli Stati Membri.
Tra le prime protagoniste dell’azione, c’è una nave francese, la Jean Bart, studiata per monitorare sia il traffico marittimo che quello aereo. Una funzione essenziale per l’attuazione del mandato dell'Operazione nel pieno rispetto della Conferenza di Berlino, che stabilisce l’imparzialità dell’intervento nel conflitto.
Contemporaneamente all’avvio di IRINI, il 31 marzo 2020, è terminato il mandato dell’operazione EUNAVFOR MED Sophia, iniziata nel giugno 2015.
L’operazione EUNAVFOR MED Sophia ha avuto come compito principale quello di smantellare il modello di attività dei trafficanti di migranti e di esseri umani nel Mediterraneo centromeridionale (dal giugno 2015 fino al marzo 2019, quando è stato sospeso il dispiegamento navale, l’operazione ha contribuito al salvataggio di quasi 50.000 persone). Tra i compiti secondari, aggiunti progressivamente, la formazione della Guardia costiera e della Marina libiche. Questa ‘mission’ si sommava ai task tradizionali: contribuire al largo delle coste libiche all’attuazione dell’embargo dell’ONU sulle armi, ma anche svolgere attività di sorveglianza e di raccolta informazioni sul traffico illecito delle esportazioni di petrolio dalla Libia.
Come indicato da Borrell lo scorso 17 febbraio, EUNAVFOR MED IRINI avrà un raggio d’azione diverso dall’operazione Sophia, dato che si concentrerà sulla fascia orientale della costa libica, in particolare, nella zona di alto mare antistante la Cirenaica, la più critica per i traffici illeciti.
Con la Conferenza di Berlino sulla Libia (19 gennaio 2020), le parti si sono impegnate a rispettare e attuare pienamente l’embargo sulle armi sancito dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ONU).
Gli effetti sulla rotta migratoria (cosiddetto pull factor)
La decisione istitutiva di IRINI prevede che, nell’esercizio del controllo politico e della direzione strategica dell'operazione, venga riconfermata - ogni 4 mesi - l’autorizzazione dell'operazione, a meno che lo schieramento dei mezzi marittimi dell'operazione non produca sulla migrazione un effetto di attrazione (cosiddetto pull factor) sulla base di prove fondate raccolte conformemente ai criteri stabiliti nel piano operativo.
Seconda guerra civile in Libia
Perché la Libia riversa nei conflitti di una dura Guerra civile? Lo scontro armato è scoppiato nel 2014 tra due coalizioni rivali: da una parte, il Governo internazionalmente riconosciuto, basato nella città orientale di Tobruch, sostenuto dalla Camera dei rappresentanti e dall’Operazione Dignità del Generale Haftar; dall’altra, il Governo costituito nella capitale, Tripoli, sostenuto dal Nuovo Congresso Nazionale Generale e dalla Coalizione di Alba Libica. Entrambe le forze riunivano diversi gruppi armati debolmente alleati tra loro.
A partire dall’ottobre 2014, si inserisce una terza forza: i militanti affiliati allo Stato Islamico (ISIS). Questa ha fatto battezzato il suo intervento assumendo il controllo della città di Derna. Successivamente, quella di Sirte. A marzo 2016, un Accordo di Pace, negoziato sotto l’egida dell’ONU, ha portato all’insediamento di un nuovo Governo di Accordo Nazionale internazionalmente riconosciuto a Tripoli. Una forza politica che ha ottenuto anche l’appoggio delle autorità e delle milizie dell’Ovest del Paese. Ma che ancora non può stabilizzarne le sorti dato che manca il riconoscimento della Camera dei rappresentanti politici di Tobruch e, soprattutto, del Generale Haftar.
Dall’inizio della Guerra, Egitto e Emirati Arabi Uniti hanno sostenuto il generale Haftar, intervenendo anche con attacchi aerei contro Alba Libica e contro l’ISIS. Con il fronte opposto, invece, figurano il Qatar e la Turchia, a sostegno di Alba Libica. Dal 2016, un crescente coinvolgimento delle potenze occidentali ha visto lo schieramento di forze speciali e bombardamenti statunitensi contro l’ISIS a Sirte. Solo quest’anno, la Turchia ha inviato un vasto contingente di uomini e mezzi a supporto del Governo di Accordo nazionale.