Draghi tra debito buono e cattivo, giovani e politica economica

L’ex governatore della Bce Draghi al Meeting di Cl: un intervento denso che può avere diverse letture ma che a breve resterà tra i “moniti” inascoltati

Draghi tra debito buono e cattivo, giovani e politica economica

Un lungo applauso ha accompagnato la fine dell’intervento di Mario Draghi all’apertura del Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. Un intervento asciutto, senza retorica, con il filo conduttore dei giovani da non trasformare una volta di più, questa a causa della pandemia, in una generazione perduta. Con l’invito (o meglio il  “monito”, avremmo usato questa parola quando era governatore di Bankitalia) a ricordare che i sussidi sono necessari per alleviare le difficoltà ma non si possono sostituire alle politiche economiche e alle scelte. Sulle quali ha detto: “dalla politica economica ci si aspetta che che non aggiunga incertezza a quella provocata dalla pandemia e dal cambiamento. 

 

Altrimenti finiremo per essere controllati dell’incertezza invece di essere noi a controllarla. Perderemmo la strada”. Così l’uomo del “whatever it takes” che da governatore della Bce salvò l’euro nel 2012, frase entrata a pieno titolo nella Treccani proprio per il suo significato storico, è intervenuto per la seconda volta quest’anno nel dibattito politico ed economico italiano ed europeo: la prima volta scrisse un‘ articolo per il Financial Times in cui scrisse che sarebbe stato necessario indebitarsi per far fronte alle conseguenze economiche del virus, a Rimini ha aggiunto un tassello obbligato: meglio il “debito buono”, (quello utilizzato a fini produttivi, per interventi sul capitale umano, nelle infrastrutture necessarie alla produzione, nella ricerca) del  “debito cattivo”, quello a cui si fa ricorso per fini improduttivi.

 

E qui le letture possono essere diverse, di critica all’operato dei governi oppure di constatazione assolutamente normale. In altre parole: Draghi, pur volando alto, interviene per dire che ci può essere un’altra strada rispetto alla situazione politica italiana, oppure Draghi che tiene al suo profilo, dice le cose che ritiene giusto dire senza che dietro di esse vi sia un disegno politico di cui le sue parole fanno parte. E’ facile prevedere che molti leader non commenteranno, e altri si limiteranno ad uno scontato elogio: in realtà, tutti pensano ad altro, dalla gestione spicciola dei focolai estivi della pandemia e alle scuole da far ripartire (nel migliore dei casi) se non piuttosto alle incerte elezioni regionali di settembre convocate insieme al referendum, che invece potrebbero essere il detonatore di una situazione non più sostenibile nel caso di un esito non favorevole alla maggioranza di governo, oppure confermare il quadro attuale e indirizzarlo verso il rinnovo della presidenza della Repubblica all’inizio del 2022.

 

Nel frattempo è bene ripassare il discorso dell’italiano più importante in Europa degli ultimi decenni: “Nel secondo trimestre del 2020 l'economia si è contratta a un tasso paragonabile a quello registrato dai maggiori Paesi durante la seconda guerra mondiale. 

La nostra libertà di circolazione, la nostra stessa interazione umana fisica e psicologica sono state sacrificate, interi settori delle nostre economie sono stati chiusi o messi in condizione di non operare.  L'aumento drammatico nel numero delle persone private del lavoro che, secondo le prime stime, sarà difficile riassorbire velocemente, la chiusura delle scuole e di altri luoghi di apprendimento hanno interrotto percorsi professionali ed educativi, hanno approfondito le diseguaglianze". 

 

Mario Draghi ha così proseguito: “il ritorno alla crescita, una crescita che rispetti l'ambiente e che non umili la persona, è divenuto un imperativo assoluto perchè le politiche economiche oggi perseguite siano sostenibili, per dare sicurezza di reddito specialmente ai più poveri, per rafforzare una coesione sociale resa fragile dall'esperienza della pandemia e dalle difficoltà che l'uscita dalla recessione comporterà nei mesi a venire. 

 

L'obiettivo è impegnativo ma non irraggiungibile se riusciremo a disperdere l'incertezza che oggi aleggia sui nostri Paesi. Da questa crisi l'Europa può uscire rafforzata. L'azione dei governi poggia su un terreno reso solido dalla politica. Nell'Europa forte e stabile che tutti vogliamo, la responsabilità si accompagna e dà legittimità alla solidarietà. Perciò questo passo avanti dovrà essere cementato dalla credibilità delle politiche economiche a livello europeo e nazionale. Tutte le risorse disponibili sono state mobilizzate per proteggere i lavoratori e le imprese che costituiscono il tessuto delle nostre economie. Si è evitato che la recessione si trasformasse in una prolungata depressione. Ma l'emergenza e i provvedimenti da essa giustificati non dureranno per sempre. Ora è il momento della saggezza nella scelta del futuro che vogliamo costruire".

 

Ancora: "la ricostruzione sarà inevitabilmente accompagnata da stock di debito destinati a rimanere elevati a lungo. Questo debito, sottoscritto da Paesi, istituzioni, mercati e risparmiatori, sarà sostenibile, continuerà cioè a essere sottoscritto in futuro, se utilizzato a fini produttivi, ad esempio investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca ecc., se è cioè "debito buono". La sua sostenibilità verrà meno se invece verrà utilizzato per fini improduttivi, se sarà considerato "debito cattivo". Vi è però un settore, essenziale per la crescita e quindi per tutte le trasformazioni che ho appena elencato, dove la visione di lungo periodo deve sposarsi con l'azione immediata: l'istruzione e, più in generale, l'investimento nei giovani. 

 

Questo è stato sempre vero ma la situazione presente rende imperativo e urgente un massiccio investimento di intelligenza e di risorse finanziarie in questo settore. La partecipazione alla società del futuro richiederà ai giovani di oggi ancor più grandi capacità di discernimento e di adattamento. 

Il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani". E’ nostro dover far sì che abbiano tutti gli strumenti per farlo pur vivendo in società migliori delle nostre. Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza".

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