Eppure, sulla carta funziona. Per non dire dei tanti relatori presenti in ologramma, una soluzione magica e costosissima che non possono permettersi nemmeno i musei più qualificati, e che dunque, intuitivamente, confermano il potere del Forum Ambrosetti (da qualche anno “The european house”) nello scenario dei think tank internazionali. I lavori, giunti alla quarantesima edizione, si sono aperti venerdì mattina con un messaggio di Papa Francesco, un viatico morale significativo sul tema della “conversione ecologica”, e si chiuderanno come da tradizione domenica con la parata dei ministri nazionali. C’è anche per l’opposizione Matteo Salvini, che va cercando una nuova legittimazione, e con gli operatori televisivi accalcati per riprenderli e più che felici di poter raccogliere immagini e dichiarazioni sufficienti a riempire i tg e le riflessioni del prossimo mese.
L’organizzazione è perfetta anche per le videoconferenze destinate ai tanti giornalisti che, causa misure di sicurezza anti-Covid, non potranno partecipare fisicamente (ne è previsto solo uno per testata); tutti questi esclusi, relegati in redazione e qui iniziamo a spiegarvi il motivo dell’incipit di questo intervento, l’avversativo “eppure”, tireranno un sospiro di sollievo, perché la tradizionale formula di partecipazione Ambrosetti, punitiva per i giornalisti al punto di sfiorare l’imbarazzo, è uno dei motivi per cui tante grandi firme, negli anni, hanno lasciato il campo a colleghi più giovani e desiderosi di mettersi in luce; solo l’altro giorno diversi colleghi ci dicevano di essersi completamente scordati del forum, di quel “primo week end di settembre” che per decenni, dopo la fondazione nel 1975, ha rappresentato l’appuntamento imprescindibile per l’industria, l’editoria culturale e il glamour alla ripartenza dopo le vacanze estive.
Iniziamo subito a dire che gli ultimi due elementi, promossi da Gianni Agnelli e proseguiti con Cesare Romiti, si sono persi pressoché definitivamente, insieme con i volti carismatici dei Barilla, dei Merloni, di Emma Marcegaglia, con le Rita Levi Montalcini e con le cene allietate da quelle meravigliose presenze – tutti ricordano ancora Monica Bellucci in rosso Valentino ospite dell’Avvocato, e negli anni successivi Ines Sastre ospite invece dei Romiti ma sempre in rosso Valentino a rose - in grado di stabilire per sempre il glamour di un evento e, per contiguità, la necessità di non mancarvi.
Quest’anno, al Forum Ambrosetti, non mancano di certo i nomi importanti, ancorché poco segnalati dalla stampa italiana che, anche lei come da tradizione, preferisce concentrarsi sull’esecutivo nazionale: senza alcun dubbio, usciranno indicazioni interessanti dal dibattito fra Laura D’Andrea Tyson, Linda Yueh, Nouriel Roubini e Lars-Hedrick Röller. Tanti, però, recano l’indicativo “ex” davanti al nome: l’ex commissario europeo Vivian Reding, l’ex primo ministro della Finlandia Esko Aho, Hillary Clinton, ex segretario di stato Usa. Ci sono molti nomi che tutti ascoltano a tutte le ore ovunque, a partire dalla virologa Ilaria Capua. C’è molta geo-politica, molta economia, ma manca un vero visionario, l’uomo di carisma e intuizione a cui si accennava in precedenza. Manca l’anticipazione creativa, la rivoluzione vera, l’idea.
Più che il pensiero, qui c’è la riflessione. E questa non basta più, tanto meno per un’impresa. Nel 1995, al Forum Ambrosetti arrivò Bill Gates con il Codice Leonardo; le sue parole aprirono, letteralmente, una nuova epoca. Ma quella di allora era un’Italia diversa, più interessante, più curiosa e incuriosente. Ormai, le multinazionali del web studiano come aggirare la fiscalità europea senza interessarsi ai suoi abitanti. Quest’anno, idealmente, avrebbe dovuto esserci Jeff Bezos, l’uomo che da solo vale come metà delle Borse europee e che sta cambiando le nostre abitudini di vita. Ma c’è Luigi di Maio, nel primo giorno di convegno. E anche gli uomini dell’industria pubblica non sono presenti in forze come altre volte, così come manca il presidente di Confindustria.
E poi c’è la vecchia questione dell’imbarazzo. Indimenticabile. Le lunghe mattinate oziose sulla pelouse dell’hotel Villa d’Este di Cernobbio ad aspettare che i convegnisti uscissero dalle sessioni per accalcarsi loro intorno e strappare una battuta; la ressa, il caldo, la sensazione costante della marginalità e poi il clou della colazione offerta in una saletta appartata, lontana dai fasti delle tavole per i relatori e i convegnisti paganti, come lacché cioè utili servi. La moda, per citare un altro dei settori che conosciamo bene, è molto selettiva dapprincipio, ma nel momento in cui invita, non fa più distinzioni. Il trattamento e l’ospitalità sono identici per tutti, le possibilità di interazione garantiti e come dire certificati dall’atto iniziale di accettazione. Non ci sono ospiti di serie A e di serie B; in alcuni casi, poi, evidentemente surreali. In tempi di inclusione necessaria, anche il Forum Ambrosetti farebbe bene a tenerne conto, anche a rischio di perdere in esclusività. Che va invece recuperata sulla sostanza, cioè sulla qualità di idee e di ospiti.