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Speciale Venezia

Diario (simil) sfacciato del primo week end della Mostra del Cinema

Mostra di Venezia, lo spazio alle registi femminili c’è, e anche Miss Marx. Nessuno ha visto fino alla fine il documentario su Ferragamo: servono le forbici

Diario (simil) sfacciato del primo week end della Mostra del Cinema

Viva la Polonia

E i suoi massaggiatori

 

L’anno scorso, accusarono il direttore della Mostra, Alberto Barbera, di aver dato poco spazio alle registe femminili. Quest’anno, nessuno può lamentarsi. Donne ovunque, c’è pure il Brokeback Mountain al femminile, ed è solo un pelo più noioso dell’originale. Ma le donne sono tantissime: davanti alla cinepresa, dietro, nelle storie, in giuria. Speriamo che i distributori italiani acquistino lo stralunatissimo “Non cadrà più la neve” (non sappiamo scrivere in polacco il titolo del film, ma quello della regista sì perché abbiamo una deliziosa collega di università che porta lo stesso nome: Malgorzata Szumowska), che ci ha tenuto incollati in sala per due ore e passa mentre cercavamo di capirne il senso della storia del massaggiatore giovane e gagliardo di Chernobyl che seduce un intero quartiere (le sue doti paranormali sono frutto delle radiazioni, come dicono i suoi clienti?) e nel frattempo ci divertivamo da morire. Il quartiere dove il bel ragazzo Zhenya esercita è un campionario di eccentricità gore, dal cane rabbioso che “vuole solo salutare” ai campanelli di ingresso delle villone tutte uguali, dalla melodia classico creativa. La Polonia ha già candidato il film agli Oscar, ottima idea.

 

Aria di ribaltoni di genere (letterario)

E’ tutta la vita che speravamo di poter declinare al maschile la famosa osservazione di Charles Swann su Odette de Crécy, “e dire che ho sciupato anni della mia vita (..) per una donna che non mi piaceva, che non era il mio genere” . D’altronde, chi non ha osservato almeno una volta con gli occhi della disillusione quello che fino al giorno prima era il suo grande amore? “un homme qui n’était pas mon genre”. Volevamo scriverlo da sempre, ce ne ha offerto il destro Susanna Nicchiarelli con il suo “Miss Marx”. La storia dell’ultima, sfortunata figlia di Karl Marx, un’altra Adèle H. solo in apparenza più combattiva, avrebbe potuto certamente essere raccontata meglio, soprattutto nelle parti collettive, e gli inserti di musica contemporanea modello Marie Antoinette di Sofia Coppola ci lasciano freddi dai tempi di Sofia Coppola. Però giustifichiamo tutto per questa golosa chance e anche per la profonda conoscenza che la regista ha mostrato di avere di Flaubert e di Madame Bovary. Quando “miss Marx” osserva con sgomento Edward, il mollaccione fedifrago, mentre sorbisce il brodo, stiamo rileggendo la famosa pagina (in realtà più d’una), in cui Emma osserva con disgusto Charles “qui étain long à manger”. La zuppa, gli odori corporali di cui non ci eravamo mai accorte. Come diceva Campanile, alla donna che si ama ancora si perdona anche il tradimento; a quella che non si ama più, neanche la minestra salata. Ribaltiamo il genere, e approviamo.

 

Ferragamo, che peccato

(ma si può rimediare)

Compito del regista e' costruire una storia selezionando, scegliendo. Eliminando il superfluo, l'inutile e il banale senza timori, ossequiosità, ridondanze, ripetizioni. Dopo le lungaggini di Suspiria e dopo questo documentario di due ore dedicato a Salvatore Ferragamo, iniziamo a domandarci quando Luca Guadagnino afferrerà finalmente le forbici e ne farà buon uso. Tanti colleghi non si sono posti il tema, perché sono usciti dalla sala di proiezione del primo spettacolo un minuto dopo che si erano esaurite le strepitose immagini della Hollywood Anni Venti e della boutique del fondatore in posa con Douglas Fairbanks, gentilmente fornite dall'archivio Ferragamo, ed erano partite le interviste a tutti i membri della famiglia, che sono notoriamente tantissimi: il giorno dopo, però, quando abbiamo letto i loro articoli, abbiamo immaginato fossero caduti vittima di un increscioso episodio di dissonanza comportamentale. Noi siamo rimasti fino alla fine, e tutto sommato abbiamo fatto bene, perché non ci è sfuggito il racconto di Leonardo Ferragamo sui progetti di edilizia anti-nucleare del babbo, mai resi noti fino ad oggi (suggerirei una presentazione ad hoc) e ci hanno commosso le tante immagini della signora Wanda, moglie di Salvatore, che fu la prima intervista della mia carriera, anche se montate più e più volte, da cui il suggerimento alla riga uno. Grazioso il finalino alla Busby Berkeley, interessante la riflessione sociologica sugli strepitosi risultati di una sola generazione di benessere e buoni studi.

 

Saint Laurent per Ferrara

Fa invidia a tutti

“C’è Abel Ferrara sulla terrazza dell’Excelsior: dice che Saint Laurent gli ha pagato il film. Ma è vero?” ci chiede un giovane regista con l’occhio supplice, sperando al tempo stesso in un diniego e in una conferma. E’ talmente vero che il logo della maison del gruppo Kering appare nella prima schermata, prima del titolo addirittura, e lo stesso accade con il direttore creativo Anthony Vaccarello. “Ma perché l’ha fatto?” mugola. “Forse perché a Vaccarello piace il suo lavoro?”. Se ne va, non è convinto. Ai cineasti, il mondo della moda appare lontano come una sessione di riprese dalla Luna. E altrettanto ricco. Mentre lo vediamo allontanarsi, vorremmo dirgli che la modalità di non inserimento del brand in nessuna parte del film – che tenta di ricostruire lo spirito comunitario del lockdown e le prime giornate di Black Lives Matter da Roma, dove Abel Ferrara vive – è quanto di più astuto ci sia stato dato di vedere da parte della moda, che quando si fa produttrice o promotrice di cinema fa solo guai. “Sporting life”, documentario sulla realizzazione di un documentario, che già di suo è una interessante mise en abime (“l’importante non è la storia, è il ritmo, sapere dove si va a finire: come il fottuto mago di Oz; si torna alla fattoria”: Ferrara dovrebbe andarlo a spiegare a Guadagnino), ci ha fatto venire voglia di una giacca.

 

S’, la mascherina serve

E adesso basta lamentarsi

E la mascherina in sala che toglie il respiro (“anche sul naso” chiede la solita suadente voce off che annuncia l’inizio del film, prima o poi dovremo conoscerla), e la noia della prenotazione online del posto, e questa Mostra che forse era meglio non farla. No, non siamo d’accordo con quelli a cui non va bene niente, di questa edizione di Venezia. Non riusciamo a capire che cosa ci fosse di tanto eccitante in quelle lunghissime file per conquistare un posto in sala che ci costringevano ad alzarci alle 6 e mezzo del mattino e a stare in coda ammassati sotto il sole per ore, e sempre a rischio di non farcela. Vedere i film come in questa edizione, distanziati, con la certezza del posto che abbiamo scelto a nostro garbo e che possiamo occupare anche un minuto prima dell’inizio della proiezione è un assoluto privilegio, e speriamo davvero che l’ineffabile coppia presidenzial-direttiva Roberto Cicutto e Alberto Barbera mantenga lo schema per sempre (mascherina e distanziamento esclusi, si intende, appena si potrà). Lo sforzo di controllo e verifica del rispetto delle misure sanitarie anche in sala è davvero encomiabile. 

 

Brugnaro si ricandida

Ma i vaporini?

Poi uno prende il vaporino e finisce ammassato, ma questo è un problema di cui dovrebbe occuparsi il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che si è ricandidato, mentre i suoi sostenitori ti fermano per strada sperando di conquistarti alla causa, che tu sia residente o meno. Non ci è chiaro perché ovunque nel mondo sui metro e i bus si mantengano le distanze di sicurezza e i posti a sedere siano ben distanziati, e a Venezia no.

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