
Nella nostra intervista, Jean Pierre Darnis approfondisce alcune grandi questioni di politica estera dell’Unione europea che coinvolgono anche l’Italia, con uno sguardo al Medio Oriente, al Mali, alla Libia e alle relazioni con Cina e gli USA. In particolare, Darnis analizza scenari in cui un dialogo strategico e una buona politica di vicinato, tra Francia e Italia, potrebbero contribuire a coniugare interessi comuni tra i due Paesi, facilitando anche le aspirazioni dell’Ue in alcune aree.
Jean Pierre Darnis è professore associato all’Université Cote d’Azur (Nizza) e dirige il corso di Laurea in Lingue e Relazioni internazionali, Relazioni franco-italiane. È Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI) a Roma, dove è responsabile di “Tech-Rel” (Tecnologia & Relazioni internazionali), un programma che analizza le sfide di policy delle nuove tecnologie e il loro impatto sulla società globale. Per lo IAI, ha anche sviluppato una serie di progetti di ricerca sulle relazioni tra i Governi di Roma e Parigi, dove è ricercatore associato alla Fondation pour la Recherche Strategique (FRS).
Già Direttore del programma “Sicurezza, difesa, spazio” dell’Istituto, ha insegnato all’Ecole Militaire Superieure, all’Università di Saint Etienne, alla LUISS, a SciencesPo e al NATO Defense College. È stato borsista presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI, Milano). Dopo aver studiato all’Università di Tolosa e di Milano (alla Cattolica), nel 1997 ha conseguito un dottorato di ricerca in Scienze umane presso l’Università di Parigi X Nanterre e, nel 2012, ha ricevuto l’idoneità all’ordinariato alla Grenoble Stendhal.
Darnis scrive per il quotidiano Il Foglio ed è membro del comitato di redazione di una rivista specializzata in questioni ‘mediterranee’. Partecipa all’unità di ricerca del Centre de la Mediterranee Moderne et Contemporaine (CMMC). È membro della Consulta scientifica del Cortile dei Gentili (Pontificio Consiglio della Cultura). The Italian Times ha seguito Darnis nel blog che ha pubblicato sull’Huffington Post, toccando importanti temi caldi richiamati anche nel nostro speciale. Lo abbiamo visto, inoltre, protagonista di un talk TEDxRoma, appuntamento in cui ha esplorato la definizione di confini e il loro significato effettivo dentro e fuori dall’Europa, suggerendo anche quanto sia strategico considerare il Mare Nostrum uno spazio aperto.
Professor Darnis, come vede il vuoto statunitense e gli spazi del Medio Oriente, sia in Siria che in Libia, quale lo scenario?
J. P. Darnis: “Osserviamo la crescita delle velleità di potenze regionali (Turchia e Russia) che approfittano della relativa debolezza statunitense. Gli Stati Uniti mantengono l'essenziale del loro apparato di sicurezza e quindi hanno sempre una capacità di intervento e di deterrenza militare, ma sembrano in ritirata sullo scenario diplomatico. Questa congiuntura spiega anche perché la Francia, ad esempio, cerca di inserirsi in Libano, ma con un successo che sembra risultare relativo.”
La Francia fra Libano e terrorismo in Niger. Possiamo definirla la punta di lancio per una proiezione esterna dell’Europa?
J. P. Darnis: “La Francia prosegue la sua azione antiterrorismo in Sahel (Niger/Mali), iniziata nel 2013 e cerca di svolgere un ruolo d'indirizzo in Libano, spingendo alle riforme politiche i vari attori, anche al nome del ruolo storico della Francia in Libano. Tuttavia, l'attivismo internazionale della Francia offre una doppia chiave di lettura. Consideriamo lo scenario in cui, per certi aspetti, la Francia è l’unico Paese dell’Unione europea che ricorre sia alla diplomazia che alle forze militari nella promozione di alcune visioni di stabilizzazione e interventi regionali. Se uno considera quest'interventismo con un significato positivo, allora la Francia può essere percepita come “punta di lancio” per la proiezione esterna dell’Europa. Diversamente, i risultati raggiunti sono sempre discutibili e soggetti a considerazioni.
La situazione interna nel Mali, in qualche modo, si pone in contrapposizione con la visione politica francese. Mentre la situazione libanese sembra estremamente complessa e, anche se il ruolo della Francia può essere apprezzato in alcune parti del Libano, il risultato è tutt’altro che ovvio. Da questo punto di vista, la Francia può quindi apparire come velleitaria. Infine, i successi migliori della Francia sono stati ottenuti in uno scenario europeo in cui Parigi è stato affiancato dalla Germania: questa consapevolezza apre un’altra finestra di riflessione sul ruolo della Francia e il futuro della proiezione esterna dell’Europa.”
La presenza dell’Italia in Medio Oriente e in Mali, a che fini?
J. P. Darnis: “La presenza italiana in Medio Oriente e nel Sahel (Mali e Niger) ‘obbedisce’ a molteplici tipi di finalità. La presenza militare italiana in Libano, alla frontiera con Israele, corrisponde a un impegno italiano per il processo di peacekeeping nella zona, anche legato alla sensibilità italiana verso l’equilibrio politico e religioso nel Medio Oriente, con particolare riguardo ai cristiani. Inoltre, corrisponde a un ruolo dell’Italia all’interno delle missioni delle Nazioni Unite. Questo dato di fatto corrisponde al tradizionale impegno dell’Italia nelle missioni multilaterali, anche per mantenere un peso specifico nella diplomazia ONU.
La presenza italiana prima in Niger, e poi in Mali, deve rispondere anche ad ulteriori coordinate. A lungo riluttanti, gli italiani si sono poi convinti della necessità di mandare truppe nella zona del Sahel per poter svolgere un’analisi diretta della situazione. Molti traffici, ad esempio di migranti, si originano preponderatamene anche in quei territori. Il che crea un interesse diretto a garantire la sicurezza da parte dell’Italia. Eppure, l’Italia rimane ancora agli albori di una capacità di intervento militare in Africa, malgrado l’intensità della presenza diplomatica, religiosa (missionari) ed economica – ne sono un esempio le attività dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) nella zona.”
La grande incomprensione fra Italia e Francia intorno alla Libia e al Sahel, in generale, come si può spiegare?
J. P. Darnis: “La Francia ha una visione regionale del Sahel che include la Libia in un concetto di lotta al terrorismo (la Francia è stata segnata dagli attentati dal 2015 in poi). Mentre l’Italia ha una visione libico-centrica giustificata sia da un concetto di zona economica privilegiata, unita a un’interpretazione del proprio ruolo alla luce del passato coloniale. Queste due visioni traspongono anche a delle storie di rivalità bilaterali (ad esempio nel Maghreb) e, spesso, è capitato che non combaciassero. Mentre esiste un interesse comune per la stabilizzazione della zona, le differenze e le rivalità - reali o percepite, fra Francia e Italia - hanno spesso impedito le convergenze. Infine, in Italia si è alimentata, a posteriori, una lettura negativa dell’intervento a seguito del mandato ONU in Libia del 2011: con la crescita dell’immigrazione clandestina nel canale di Sicilia dal 2013 in poi, si è rinforzata la percezione di una colpevolezza francese in tutte queste delicate questioni.”
Professore, un’ultima domanda, anche se tocca un contesto diverso da quello affrontato in quest’intervista, ma approfitto dell’occasione di averLa con noi e della Sua expertise in materia di opportunità legate alla corsa all’hightech. Mi riferisco alla sfida tecnologica globale. Qui, assistiamo a un’Europa che perde posizione rispetto alla Cina e agli Stati Uniti.
Come dovrebbe essere declinata la sovranità tecnologica per l’Europa post-covid19?
J. P. Darnis: “Non è detto che l’Europa stia perdendo posizione, ma sicuramente, abbiamo osservato il potenziamento della capacità statunitense e poi quella cinese in materia di tecnologia digitale. Questo pone un problema fondamentale per i 27 che, anche alla luce dell’emergenza sanitaria e della crisi economica del covid-19, dovrebbero meglio concepire e rinforzare le loro capacità autonome di raccolta e gestione dei dati, una questione fondamentale da vari punti di vista (tecnologia, democrazia, economia…). Per ottenere una maggiore tutela sulla tecnologia, e quindi, una forma di crescita della sovranità tecnologica europea, non bisogna soltanto rinforzare i meccanismi di protezione, ma anche irrobustire la fiducia fra gli Stati membri stessi dell’Unione. E, di conseguenza, rinvigorire il mercato interno, anche per quanto riguarda le barriere – a scopo protettivo - contro i rischi che arrivano dall’esterno, ossia dai mercati extra-Ue.
Un paradosso emerge se guardiamo alla sovranità come un “gioco a somma positiva”: per meglio tutelare le sovranità nazionali degli Stati membri, bisogna anche stimolare nuovi spazi di sovranità europei, ad esempio, con regolamentazione sui dati che riescano a colmare i vuoti lasciati dalle legislazioni dei sistemi nazionali, assicurando così anche l’evoluzione del Mercato comune.”