EditorialiOpinioniAnalisiInchiesteIntervisteScenariFirme
La spaccatura nel Pd

Crisi di governo, sul rimpasto è caos in casa dei democratici

L’affondo di Marcucci al Senato spacca il Pd. Personalismi e incapacità di sintesi politica dei partiti generano confusione e disorientano i cittadini

Crisi di governo, sul rimpasto è caos in casa dei democratici

Premessa: un gruppo parlamentare è a tutti gli effetti l’emanazione di un partito nelle Aule di Camera e Senato. Attraverso i suoi componenti esprime in Parlamento le posizioni sui temi politici in discussione e i capigruppo ne sono i portavoce. Ma quando il presidente di un gruppo fa delle dichiarazioni di una certa gravità e poco dopo viene smentito dalla segreteria del partito che rappresenta, lo scollamento non è solo evidente. E’ il segno di una litigiosità ed eterogeneità di vedute prive di qualsiasi sintesi politica.

 

L’affondo di Andrea Marcucci, alla guida del Pd al Senato, che chiede la verifica di maggioranza e mette in discussione l’adeguatezza di alcuni ministri del Governo Conte, arriva come una bordata nelle stanze del Nazareno. Scuote i membri della segreteria e costringe il segretario, Nicola Zingaretti, a una rapida smentita: “Pieno sostegno a Conte”.  Poche, semplici parole. Ma ormai la mina è scoppiata. Marcucci, tacciato dai più per i suoi trascorsi renziani, non cede e ancora oggi dalle pagine di Repubblica ribadisce il dissenso. “Ho la mia identità, non sono renziano. Ma ci vuole un chiarimento politico per garantire forza al Governo. Non possiamo andare con un equipaggio incerto e criticato in balia delle onde. Occorre una guida sicura, una maggioranza forte e coesa”. E precisa: “Ho chiesto al premier assunzione di responsabilità. Pezzi di maggioranza hanno dato segnali di criticità, come si può andare avanti così?”. Tutto ruota intorno al rimpasto. Il capogruppo dem a Palazzo Madama sostiene di non volerlo. Ma che nel Pd cresca l’insofferenza per alcuni ministri e sia quella la parola sussurrata che circola da settimane è fuori di dubbio. 

 

La situazione di emergenza del Paese, il dramma del virus che non arretra, e l’ultimo Dpcm del 24 ottobre di Conte sembrano aver accentuato le divisioni nel Partito democratico. Gli appelli all’unità del presidente del Consiglio e del presidente Mattarella alle forze politiche non stanno sortendo effetti. All’epoca dei personalismi i partiti sono sempre di più incapaci di svolgere quel ruolo di sintesi delle idee cui sono chiamati.  Quando la naturale dialettica interna arriva sui banchi del Parlamento, e si evidenziano spaccature e divisioni non ricomposte nelle sedi opportune (di partito), lo sfilacciamento si è consumato. Non serve poi accordarsi per reali o apparenti tregue. Il messaggio che arriva all’opinione pubblica è di caos e incertezza. Ed è poco rassicurante. 

 

Non va meglio nel centrodestra. Nello stesso giorno in cui Silvio Berlusconi tendeva la mano al Governo, pezzi di Forza Italia attaccavano il premier come se il loro leader non avesse parlato. Brunetta e Gelmini hanno continuato con le loro prese di posizione procedendo in ordine sparso e privando di un riconoscimento la linea che il Cavaliere aveva appena dato. Nel Carroccio le due anime, quella moderata e quella dura e pura di Matteo Salvini, sono ormai manifeste. Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia si sono rivelati il simbolo di una Lega più istituzionale, persino garbata, poco incline alle intemperanze integraliste del Capitano. E pronta a lavorare e spendersi per una collaborazione con la maggioranza in questa difficile fase della vita del Paese.

 

Questa Lega, dialogante ed europeista, è all’origine di quel “siamo pronti a collaborare” che Matteo ha pronunciato ieri al Senato. Per poi smentirsi pochi secondi dopo, quando ha sferrato il suo attacco a una maggioranza già stordita dalle dichiarazioni di Marcucci. E’ più forte di lui, proprio gli riesce di fare il moderato. Eppure, qualcosa è cambiato. La strategia politica a lungo termine dell’ex ministro dell’Interno si sta mostrando fragile, e spesso e volentieri sbaglia bersaglio. Su una cosa però cerca di tenere il punto: i panni sporchi si lavano in casa. E tranne qualche intervista rilasciata qua e là da Giorgetti quando deve richiamarlo all’ordine, la voce della Lega resta lui. 

 

Un caso a sé nel panorama dell’opposizione è rappresentato da Giorgia Meloni. Non sembrano mai esserci posizioni differenziate nel suo partito né, dunque, necessità di sintesi di idee e opinioni. Fratelli d’Italia è Giorgia Meloni e Giorgia Meloni è Fratelli d’Italia. L’ex ministra delle Politiche giovanili inoltre sa nascondere all’occorrenza il suo radicalismo, usandolo principalmente nelle manifestazioni di piazza o quando appare in tv (cioè quando parla ai suoi elettori). La sua strategia è più articolata di quella salviniana e sta dando frutti. Sia per lo guardo che ha sul mondo: Meloni ha forti legami con i conservatori radicali americani e con quelli europei, di recente è stata eletta alla guida di questi ultimi. Sia perché con Berlusconi al 5% e il Capitano più ultrà che uomo di governo, è lei che giorno dopo giorno, un passetto alla volta, sta provando a costruire (sempre se i numeri lo permetteranno) leadership e volto nuovo della destra italiana: radicale nell’anima ma capace di dialogo istituzionale. E nelle stanze del potere non c’è bisogno di urlare. 

COPYRIGHT THEITALIANTIMES.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA