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Il riconteggio

Usa 2020, Trump e le azioni legali. L’esperto spiega cosa accadrà

Donald Trump vuole il riconteggio delle schede. Qual è il peso dei voti postali e del trumpismo, che rimarrà protagonista. L’opinione di Paolo Magri (ISPI)

Usa 2020, Trump e le azioni legali. L’esperto spiega cosa accadrà

Che le elezioni presidenziali negli Usa si potessero trasformare in un testa a testa all’ultimo voto era ampiamente previsto. Che però il trampismo potesse ottenere tanti riscontri nel voto popolare e persino nell’’elettorato ispanico era stato sottovalutato, tanto che i sondaggi della vigilia davano ancora un vantaggio più ampio per il candidato democratico, Joe Biden. A oltre 24 ore dalla chiusura dei seggi, con gli ultimi scrutini in corso, emerge però un altro scenario, quello delle azioni legali annunciate dal presidente uscente che non cede e chiede il riconteggio delle schede, soprattutto in tre stati chiave come Arizona, Wisconsin e Michigan, andati allo sfidante. Quanto potrebbe durare, quindi, la battaglia legale dopo quella elettorale? Che conseguenze potrebbero esserci, dopo le prime proteste di strada a New York (con una ventina di arresti) e in altre zone degli Usa? E perché questa volta la contestazione dei voti è differente da quella del 2000, tra George W. Bush e Al Gore? Ecco l’opinione dell’esperto, Paolo Magri, Direttore e vice Presidente Esecutivo dell’ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, e docente di Relazioni internazionali all’Università Bocconi di Milano. 

 

Donald Trump ha parlato fin dalle prime ore dopo la chiusura dei seggi di “atto di frode” in un tweet poi bloccato dal social e ha annunciato il ricorso alla Corte Suprema. Cosa significherà in termini concreti, che si dovrà attendere ancora per ufficializzare il nome del 46° Presidente Usa? Che tempi si prospettano? 


Paolo Magri: “Che Trump, vedendosi in vantaggio in molti stati chiave, potesse dichiarare chiusa la partita prima del fischio finale - cioè la fine del conteggio dei voti postali - era un’ipotesi che molti si aspettavano. Non a caso, Biden ha parlato per primo nella serata post-voto, chiedendo ai suoi sostenitori di avere pazienza “fino a che ogni scheda sarà stata contata e certificata”. Altrettanto attesa era la minaccia del presidente di fare ricorso alla Corte Suprema per “congelare” il risultato alla chiusura dei seggi. A guidare il recupero di Biden, dopo l’iniziale vantaggio repubblicano, sembrano infatti essere i voti via posta, che Trump e i repubblicani hanno più volte criticato come “fraudolenti”. Non è da escludere quindi che in alcuni stati chiave in cui la corsa è stata serrata i repubblicani possano intentare cause legali per cercare di bloccare il conteggio del voto via posta o chiedere un riconteggio. Cause che, partendo dalle corti statali, potrebbero addirittura finire davanti alla Corte Suprema. Ciò che né Trump né la Corte suprema possono cambiare però è la data che marca la fine del mandato presidenziale: il 20 gennaio, una deadline stabilita dalla Costituzione stessa."

 

Qual è la portata di una dichiarazione simile, da parte di un Presidente Usa che parla dalla Casa Bianca di illegalità e mette in dubbio il sistema elettorale americano? Non ci sono precedenti analoghi e ha sorpreso che sia arrivato da un Paese come gli Stati Uniti che non è certo uno Stato totalitario. 


Paolo Magri: “Anche per gli standard di Trump, una dichiarazione di questo tipo - anche se già minacciata in precedenza - ha una portata enorme: è arrivata infatti nelle fasi iniziali di una corsa molto serrata e che come vediamo si sta prolungando per ore (se non giorni), e dopo che il presidente per mesi ha continuato a sottolineare che l’unico modo in cui avrebbe potuto perdere sarebbe stato per un imbroglio dei dem. In una società polarizzata come l’America del 2020 e con un voto che sembra davvero dividersi quasi equamente tra i due candidati, il rischio è che queste elezioni siano viste come illegittime dalla metà del paese che ne uscirà sconfitta. Una dichiarazione di questo tipo fatta dal presidente stesso rischia quindi accendere una miccia in un pagliaio”.

 

Non a caso le prime manifestazioni si sono registrate quando era ancora nel vivo lo spoglio elettorale, come a New York. Intanto, in alcuni stati come il North Carolina si dovrà attendere la prossima settimana: l’Abc News annuncia che i risultati definitivi arriveranno solo la prossima settimana. In una situazione come questa, è possibile fare un paragone con quanto accaduto con la contestazione tra George W. Bush e Al Gore nel 2000? Oppure in questo caso la quantità e portata dei voti contestati è un unicum?


Paolo Magri: "A vent’anni di distanza sempre di contestazioni si parla, ma la cornice è stavolta molto diversa. Nelle elezioni del 2000 tra George W. Bush e Al Gore i democratici avevano chiesto un riconteggio perché lo scarto di voti tra i due contendenti in Florida era minimo (meno di 600 voti). Oggi è vero che in alcuni stati chiave lo scarto tra Trump e Biden è ridotto e si attende ancora il conteggio degli ultimi voti, ma questa volta a venire messa in discussione dal Presidente uscente è la validità stessa dei voti spediti via posta. Non si sta parlando di procedere a un riconteggio per chiarire l'entità di uno scarto minimo, ma del fatto che interi gruppi di voti debbano essere considerati validi oppure no. Lo scontro non è solo di metodo, ma soprattutto di legittimità."

 

Ma quanto accaduto era prevedibile oppure si tratta di una sorpresa, sia per l’esito del voto che di fatto divide in due gli Usa, sia per le conseguenze? Insomma, gli analisti e i sondaggisti hanno sbagliato ancora?


Paolo Magri: "Certamente i sondaggi hanno “toppato” nell’ipotizzare una performance debole di Trump nel voto popolare e la sua incapacità di catturare il voto dell’elettorato ispanico, soprattutto in Florida. Ma per il resto, il quadro che appare in questo momento è relativamente vicino allo scenario dato come più probabile dalla maggior parte dei sondaggi: uno scrutinio lento, in cui i due contendenti si sono assicurati fin dalle prime ore le proprie roccaforti e si sono preparati poi a combattere fino all’ultimo voto in Georgia, Arizona, Nevada, North Carolina e in alcuni stati della Rust Belt (La “cintura di ruggine”, quella fascia tra i monti Appalachi e i Grandi Laghi settentrionali, che comprende stati come il Michigan, dove si concentrano le aree produttive industriali, le zone rurali e manufatturiere, lontana da metropoli come New York, NdR). Qui un iniziale vantaggio di Trump si è ridotto di ora in ora, come previsto, a vantaggio di un recupero di Biden trainato dallo spoglio dei voti via posta; una rimonta, però, che appare più risicata di quanto ipotizzato dai sondaggisti. Possiamo dire che la dinamica è stata prevista, ma non la forza relativa dei due sfidanti, che appare fino alla fine molto equilibrata. "

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