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Contro l'odio online

Intervista al team del progetto Ue HIT, contro haters e cyberbullismo

L'Hate Interrupter Teams, finanziato da Commissione Ue: educazione digitale dei giovani contro odio online e cyberbullismo. Ne parlano i referenti italiani.

Intervista al team del progetto Ue HIT, contro haters e cyberbullismo

Ricorre oggi, 25 novembre, la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Che a livello nazionale, come europeo, alimenta ancora dibattiti su aspetti connessi alle continue minacce rappresentate dal problema degli hate speech, della disinformazione online e del cyberbullismo. Problematiche particolarmente avvertite in tutta Europa e affrontate anche ai recenti tavoli istituzionali dell’Ue, dove si sta lavorando per un intervento a livello normativo che vincoli al rispetto delle regole in materia di incitamento all’odio, soprattutto online, ma anche offline.

 

Con la seconda ondata di coronavirus, sembra soffiare ancora più forte il vento della paura in Italia, ma anche quello dell’odio veicolato, per lo più, attraverso piattaforme dei social media. Tanto che proprio pochi giorni fa, la società Reputation Manager, punto di riferimento nel nostro Paese per l’analisi della reputazione online, ha lanciato un nuovo allarme con oltre 402.000 contenuti preoccupanti che sono stati condivisi solo via Twitter nell’ultimo mese.

 

In un’intervista a The Italian Times, alcuni esperti in materia di politiche giovanili e comunicazione, tra cui i responsabili del progetto HIT (Hate Interrupter Teams), spiegano quanto sia fondamentale – in questa difficile congiuntura economico-sociale – sostenere i giovani impegnati in azioni e campagne contro l’odio online. Soprattutto, nella consapevolezza che, quando oltre a questioni legali dell’uso di Internet (ad esempio, i diritti alla privacy), sia in rete - che fuori dalla rete - ne va l’immagine e il rispetto della dignità dell’individuo leso.

 

Anche questo spiega la visibilità registrata dall’iniziativa portata avanti dai ragazzi di HIT, finanziata dalla Commissione europea. Il progetto ha lo scopo di neutralizzare le tendenze di incitamento all’odio online attraverso l’educazione digitale all’uso delle parole dei giovani: una vera e propria ‘catena umana’ di blocco all’odio. Tra i nove partner europei che lavorano a #HITproject, per l’Italia c’è MuLab, l’associazione no-profit che svolge attività di ricerca, promozione e formazione nel settore dell’industria culturale.

 

Durante la presentazione di HIT del 5 novembre alla Camera dei Deputati, la Senatrice Emma Bonino (+Europa), riconoscendo il grande valore di obiettivi e risultati attesi dal progetto, ha affermato come rappresenti una “speranza per tutti coloro che hanno a cuore la libera e corretta informazione” in Italia.

 

Da Carolina Picchio, che si è tolta la vita a soli 14 anni dopo la diffusione online di un video che la riguardava, al caso più recente di un giovane di 15 anni che, a Napoli proprio qualche settimana fa, ha tentato il suicidio. Anche lui, vittima di cyberbullismo da parte dei compagni di classe. La violenza online che ha come bersaglio o oggetto i minori, negli ultimi anni, è cresciuta esponenzialmente anche in Italia.

 

Dottor Pellegrini, stando a quanto messo in luce dall’associazione MuLab, quali sono le cause principali di questa escalation?

 

Enzo Pellegrini (MuLab, partner italiano del progetto HIT): “Credo che per molti di noi, l’emergenza Covid-19 abbia avuto un impatto dirompente. Ha modificato lo stile di vita e ci ha lasciato intravvedere all’orizzonte qualcosa che non avevamo mai conosciuto prima: l’indeterminazione che inizia ad abitare le nostre vite, quotidianamente e a ritmo angosciante, causandoci stress, irritazione e anche solitudine.

Insegnanti e compagni di classe non hanno potuto più assolvere alla loro funzione anche di supporto socio-psicologico. Circostanze come la perdita del lavoro e di reddito, oppure la malattia dei propri cari, hanno avuto un peso consistente nel deterioramento della qualità della vita e del benessere delle persone.

Evidenze della prima ondata della pandemia in Europa testimoniano che le esposizioni alla violenza domestica sono aumentate del 60% durante il primo lockdown rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A questo, aggiungiamo che il numero di casi segnalati di razzismo e discriminazione nei confronti di persone di origini diverse è aumentato in maniera considerevole. Tuttavia, non credo che ciò sia dovuto esclusivamente agli effetti, seppur devastanti, dell’emergenza covid-19. C’era già un seme, prima della pandemia, che si è alimentato delle nostre paure, timori e debolezze.

In questo scenario, i giovani sono quelli che pagano il prezzo più alto. Da recenti dati e analisi dell’OCSE, emerge come il razzismo e la diffusione di notizie false, associati al dramma dei contagi di coronavirus, persistano a lungo termine sollevando preoccupazioni per l’aumento dei livelli del debito pubblico e per l’impatto che tutto ciò avrà sul futuro e sulla quotidianità di adolescenti, ragazzi e delle nuove generazioni. Forse le cause principali vanno ricercate nella mancanza di consapevolezza nel riconoscere le proprie emozioni, di come le parole possano ferire anche profondamente e di vedere nell’altro, un essere umano proprio come noi.”

 

Dott.ssa De Martini, in qualità di responsabile Formazione del progetto HIT, crede che l’educazione (ormai anche digitale) e il contesto familiare siano la buona base su cui trasmettere valori e comportamenti ‘socialmente corretti’? Cosa consiglierebbe di fare a un genitore, oggi, per proteggere i propri figli da quella corrente che potremmo quasi definire una ’valanga d’odio’?

 

Erica De Martini: “I ragazzi hanno tutto un mondo da scoprire e da raccontare e, proprio per questo, necessitano di adulti che siano in grado di essere punti di riferimento e, al contempo, attenti uditori.

L’educazione digitale all’uso delle parole (tra le finalità del progetto HIT) rappresenta l’occasione per milioni di ragazzi di invertire la rotta del Web nel nome della creatività, della libertà e del rispetto della dignità, contro ogni forma di discriminazione. Secondo la L1GHT (startup israelo-statunitense che si occupa di analizzare e rimuovere dal Web i discorsi di odio e i post con false informazioni), il traffico verso siti che incitano all’odio e alla discriminazione è aumentato del 200%. Solo su chat tra bambini e adolescenti, gli hate speech sono cresciuti di oltre il 70%, mentre quasi il 17% dei discorsi online in Italia è, ormai, diventato un discorso d’odio. Inoltre, dal 25 Aprile al 17 giugno 2020, i contenuti d’odio condivisi in Italia, solo su Twitter, sono stati 679.000, da parte di quasi 150.000 utenti. Effettivamente, una vera e propria ‘valanga d’odio’, razziale, omofobo e sessista che ha colpito milioni di utenti.

Il momento storico che stiamo vivendo, ricco di instabilità e privazione di contatti sociali reali, rende urgente un utilizzo consapevole dei mezzi tecnologici, non della loro demonizzazione. Quello che viene chiesto ai genitori è di favorire, in casa, un clima di dialogo continuo, di fornire ai ragazzi degli strumenti per gestire eventuali situazioni di disagio legate al cyberbullismo, punta dell’iceberg di un’emergenza sociale e formativa che sormonta una vasta serie di problematiche legate alla crescita e alla società che fa da sfondo.

La scuola, facendo squadra con le famiglie, ricopre un ruolo fondamentale per coltivare un clima tollerante e non discriminatorio negli ambienti formativi dei nostri ragazzi, nonché i prossimi attori di cambiamento: il prossimo ministro dell'Istruzione, l’educatore, il paramedico e così via. Insomma, il nostro futuro.”

 

Dott. Battaglini, ci sono degli errori comuni che si potrebbero evitare sui Social, ponendovi maggiore attenzione?

 

Eugenio Battaglini (HIT - Team Trainer): “L’errore più comune nel quale incappiamo appena ci sediamo dietro uno schermo, e ci mettiamo a scrivere, è quello di dimenticare che non stiamo parlando con degli avatar, ma con delle persone. Non stiamo interloquendo con una parte hardware del nostro dispositivo, come se stessimo a guardare l’oblò di una lavatrice. Allo stesso modo, non è il nostro avatar che sta pronunciando le parole e scegliendo il tipo e i toni della comunicazione, condividendo quel contenuto. Ma siamo noi in prima persona. Ecco perché le conseguenze di quell’azione virtuale saranno poi reali.

Spesso non si pensa che la diffamazione sia un reato anche online, così come la minaccia, entrambi punibili con una multa da 1.032 euro. Al netto di gattini e storie strappa lacrime, sembra che gli schermi dei nostri dispositivi fungano anche da filtro per l’empatia. Attivarsi contro l’hate speech è un piccolo passo verso la comprensione che non è tanto la realtà ad essere virtuale, ma è la virtualità a diventare reale nel momento in cui ‘tocca’ l’altro.”

 

Dott.ssa Buonaccorso, come si deve muovere un giovane in Italia per attivarsi contro la diffusione degli hate speech?

 

Priscilla Buonaccorso (HIT Team): “Sono tanti i modi in cui un giovane potrebbe contrastare la diffusione degli hate speech. Consistono tutti, sostanzialmente, nel non-assecondare e nel non-farsi coinvolgere in queste dinamiche di odio. Massima attenzione va data alle modalità o tecniche di riconoscimento dei segnali, smontando discorsi solitamente fondati su elementi a scopo di falsa informazione o disinformazione. All’occorrenza, è sempre utile segnalare alle autorità competenti questi discorsi generatori di odio, che potrebbero evolversi in azioni conseguenti di violenza. Lo abbiamo visto in alcuni, anche recenti, fatti di cronaca. Teniamo conto, però, che i discorsi di odio sono un fenomeno sociale. E come tali, vanno affrontati. Ma attenzione! Non possiamo permetterci il grave errore di ricondurre il fenomeno ad un piano personale (ossia che riguarda solo il singolo soggetto coinvolto e direttamente colpito), perché si rischierebbe di perdere di vista il contesto culturale e sociale che lo ha prodotto. E questa analisi o condotta da luogo, la maggior parte delle volte, ad una risposta totalmente inefficace.”

 

Intanto, il 23 novembre, la Commissione europea ha avviato procedure di infrazione nei confronti di 23 Stati membri (tra cui l'Italia) e del Regno Unito per la mancata attuazione delle nuove norme che disciplinano il coordinamento dei media audiovisivi a livello Ue e norme anti-incitamento all’odio. I casi riguardano le trasmissioni televisive tradizionali, i servizi a richiesta e le piattaforme per la condivisione di video. Obiettivo delle nuove norme di Bruxelles è creare un quadro normativo adatto all’era digitale, che serva a plasmare un panorama audiovisivo più sicuro ed equo, offrendo maggiore protezione agli utenti, con particolare attenzione alla sicurezza delle categorie più vulnerabili, come i minori o le donne.

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