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Siamo onesti, arriva il Natale che sognavamo: in pochi e senza stress

Finalmente con le restrizioni antivirus possiamo capire di chi possiamo fare serenamente a meno e chi, invece, ci mancherà terribilmente a Natale

Siamo onesti, arriva il Natale che sognavamo: in pochi e senza stress

Insieme con la nostra voglia di uscire a cena e con l’aumento delle interviste agli psicologi sui danni della pandemia per umore e lucidità mentale (non siamo solo noi a battere dove la mente duole: il quotidiano inglese The Guardian dedica al tema articoli da un paio di settimane), è arrivata la notizia che a Natale saranno vietati i cenoni, le riunioni troppo allargate fra familiari, i viaggi infra-regionali per le visite agli zii lontani e le vacanze sulla neve. Ecco, quelle un po’ ci dispiace perderle. Abbiamo appena sfogliato panorami innevati mozzafiato sul numero speciale di Bell’Europa allegato al Corriere della Sera (immaginiamo a scopo evasivo-consolatorio) e sognavamo una sciatina alla prima nevicata.

 

Checché ne dica il Santo Padre, anticipando i contenuti del suo nuovo libro all’Angelus, non ci sentiamo affatto in colpa di desiderare le vacanze e i week end, oltre ai “grandi sogni” e ai progetti che il Signore avrebbe per noi: facciamo la nostra parte, aiutiamo chi possiamo al meglio che possiamo, rispettiamo le norme, ma non vediamo perché non dovremmo sognare di riappropriarci della vita che ci siamo conquistati studiando e lavorando furiosamente, fosse pure un banale week end in montagna.


Non pensiamo che batterci costantemente il petto elevi lo spirito, o aspirare costantemente all’elevazione morale aiuti i nostri rapporti con gli altri e i sentimenti di solidarietà nei loro confronti. Conosciamo i risvolti di questi moniti e questi richiami alla penitenza in epoca di pandemie, e a dispetto delle alte parole del Pontefice vediamo già gli effetti del diffuso senso di colpa per ogni manifestazione di gioia nel risorgere dei razzismi, nella diffidenza ormai acre e cattiva nei confronti del diverso, nella violenza intra muros, cioè fra congiunti.

 

La cronaca va affollandosi di episodi di delitti familiari come le corsie degli ospedali di malati, e i centri antiviolenza, in questi giorni dedicati alla repressione della violenza contro le donne, denunciano l’aumento di casi. La cattività imposta a un essere sociale com’è l’uomo non porta necessariamente all’elevazione del suo spirito, e gravarne l’esperienza di sensi di colpa peggiore la situazione; possiamo concordare sul fatto che l’ora dell’aperitivo con gli amici o del sabato al mare sia un’ambizione davvero minimale, ma non sul principio del diritto di ciascuno alla felicità, fosse pure piccola e umanissima, che dall’Illuminismo è fondamento degli stati laici e democratici.

 

Dunque, eccoci in casa in pochi anche a Natale per “evitare la terza ondata che non potremmo assolutamente permetterci”. E qui, permetteteci di cambiare registro, non tutti ritengono che si tratterà di un sacrificio intollerabile. Fermo restando le vacanze sulla neve o al caldo, crediamo di potercela fare.

Sì, possiamo tollerare un Natale “diverso dal solito”. Anche perché ci pare che sia proprio quello che andiamo dicendoci da anni, al rientro dalla cena di zia Irene che si ostina a vivere in una casa immensa e gelida in mezzo alla campagna e a cucinare il brodo di cappone con gli occhi di grasso che ci fa schifo per il sapore e per l’odore, che si attacca in via permanente ai capelli. “Mai più, l’anno prossimo ci diamo malati”. Ecco, la malattia è arrivata per tutti, e l’unico modo per scamparla (forse) è stare lontani.

 

Il premier inglese Boris Johnson ha stabilito con quanti congiunti in ascendenza e in discendenza si potranno trascorrere le feste e ha decretato che per cinque giorni potranno mescolarsi fino a “three houseolds”, cioè tre gruppi familiari (curioso: “mingling three households for Christmas” sembra il titolo di una filastrocca). Da un’indagine dell’Observer pare che una alta percentuale di inglesi non abbia alcuna intenzione di mettersi in casa i cugini che non vede da sei mesi e di rischiare di intasare le corsie degli ospedali tre settimane dopo, preferendo una bella passeggiata in bicicletta e tre film su Netflix.

Niente cenoni, niente maratone culinarie. Non credo che un’indagine similare in Italia porterebbe a risultati diversi, forse perfino al sud. Siamo onesti: è da quando abbiamo venticinque anni che chiudiamo la pausa natalizia più grassi, più torpidi, più poveri, più irritati. La pandemia ci ha offerto la scusa perfetta per evitare i parenti serpenti, quel ricco filone cinematografico in cui tutti ritrovano una parte di sé.


Diciamolo una volta per tutte, almeno a noi stessi, che spedire tanti simpatici regali col corriere espresso ci libererà dal problema non secondario di doverli portare di persona e di assistere alle facce di circostanza di chi avrebbe preferito il bonifico o alla maleducazione di quelli che “li metto sotto l’albero” e tanti saluti. Ci dispiacerà non vedere le poche, pochissime persone a cui teniamo davvero, che purtroppo non sono necessariamente i nostri parenti, ma fra le poche cose buone che ci sta portando questo Covid dobbiamo mettere la selezione, in gergo editoriale l’editing: finalmente abbiamo capito di chi possiamo fare serenamente a meno e chi, invece, ci manca terribilmente.

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