Scarpette rosse

Violenza economica: cos’è, come riconoscerla e come difendersi

In occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, ecco come capire se si è vittime di questo fenomeno che, nel silenzio, interessa molte donne

Violenza economica: cos’è, come riconoscerla e come difendersi

Non c’è solo la violenza fisica contro le donne, quella fatta di abusi, sia sessuali che psicologici, di stalking o molestie. Mogli, madri e compagne spesso subiscono, nel silenzio, anche la violenza economica, che è un vero e proprio reato punito in base all’articolo 612 bis del Codice Penale e si può presentare in diverse forme. Ecco quali sono, come riconoscerle e come reagire per ritrovare indipendenza finanziaria e serenità psicologia. 

 

Cos’è la violenza economica

Tra coloro che subiscono violenza economica ci sono donne che non possono disporre di denaro contante, carta di credito o bancomat, dunque non sono in grado di effettuare acquisti in modo autonomo. C’è chi non ha accesso al bilancio familiare, quindi non conosce le disponibilità economiche della famiglia, e chi non può gestire in modo indipendente neppure gli acquisti più semplici, dall’abbigliamento per sé o i figli, alla spesa alimentare, al pagamento delle bollette di casa. Insomma, si tratta di persone che di fatto dipendono economicamente dal proprio partner, che può limitare loro la possibilità di lavorare oppure le sfrutta economicamente, magari nell’azienda familiare, ma senza riconoscere loro uno stipendio. La conseguenza è la limitazione della libertà e indipendenza sotto forma di ricatto più o meno esplicito. 

 

Chi colpisce

Si calcola che il 2% delle donne tra i 16 e i 70 anni possa essere vittima di violenza economica, ma il dato è considerato sottostimato perché molte donne non denunciano per vergogna, impossibilità o paura di ritorsioni su di sé o sui figli. «E’ una forma di violenza che spesso può sembrare “normale” o viene giustificata perché si ritiene che la gestione delle finanze all’interno della coppia o della famiglia spetti all’uomo. Il lockdown, purtroppo, ha aggravato la situazione perché molte donne si sono trovate chiuse in casa con i loro partner maltrattanti. Per questo è stata messa a punto una App, YouPol, per segnalare anche violenze domestiche premendo semplicemente un tasto e senza dover parlare» spiega Gabriella Scaduto, psicologa e coordinatrice del gruppo di lavoro dell’Ordine Psicologi Lombardia per i diritti delle donne.

A dispetto di quanto si possa pensare questo tipo di coercizione non riguarda solo le classi sociali meno abbienti, ma è trasversale: in chi ha maggiori disponibilità, infatti, si può tradurre nell’indebitamento proprio malgrado, come nel caso in cui il partner intesta beni alla moglie o compagna, rendendola prestanome, a sua insaputa. Questo può avere conseguenze anche sul lungo periodo perché, in caso di separazione o divorzio, può impedire a una donna di ricevere un prestito per avviare un’attività in proprio, in quanto segnalata alla Centrale Rischi d’Intermediazione Finanziaria, come cattiva pagatrice. Ci sono, infine, donne che faticano a ricevere l’assegno di mantenimento che spetta loro o ai figli in caso di divorzio o moglie che sono sfruttate dai mariti disoccupati. Come reagire a questa forma di violenza?

 

Costrizione fisica e soggezione psicologica

Nonostante non sia una violenza fisica, uno degli effetti più devastanti del ricatto economico è la soggezione psicologica, oltre che materiale. Ansia, diminuzione dell’autostima, senso di isolamento sono i principali segni questa condizione, che però può interessare anche i figli:«Secondo i dati dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali (FRA) il 21% delle vittime soffre di attacchi di panico, il 35% di depressione e il 41% insonnia, ma non mancano i casi di cosiddetta violenza assistita, cioè quella subita dai figli che assistono a tutti i tipi di violenza, non solo fisica, di cui la donna è vittima e che lasciano strascichi a livello psicologico se non si interviene» spiega Scaduto. 

Quali sono i campanelli d’allarme? «Se il proprio marito non dice quanto guadagna o quanto spende per bollette e alimentari; o se utilizza i soldi per tenere in una condizione di sottomissione la moglie, non dandole denaro, controllando quando spende, proibendo alcuni acquisti oppure ancora esigendo rapporti sessuali in cambio di denaro, insomma tutti i casi nei quali la relazione di coppia non sia egualitaria dal punto di vista finanziario devono mettere in allarme» chiarisce la psicologa. 

 

Cosa fare quando si è vittime

«Il primo passo è prendere consapevolezza di essere vittime di una forma di violenza, per chiedere aiuto. Rivolgendosi poi a un centro antiviolenza, ci si può affidare a professionisti psicologi che possono sostenere e dare consigli per uscire dalla propria condizione. Nel caso specifico della violenza economica, sono previsti percorsi specifici di educazione finanziaria, al sostegno al welfare e avvio al lavoro, perché la dipendenza finanziaria crea ferite sotto la pelle, non visibili non come quelle della violenza fisica o sessuale, ma sempre dolorose». Tra le realtà più attive, ad esempio, c’è la Fondazione Pangea Onlus ha attivato uno sportello apposito per le donne che subiscono violenza economica (Mia Economia) e ha dato vita al progetto Reama, una rete per il mutuo aiuto di chi è colpito da queste e altre forme di ricatto e coercizione. 

 

Cosa prevede la legge

Spesso le donne casalinghe per scelta più o meno volontaria, si sentono “in difetto”, ricattate psicologicamente e materialmente in quanto “mantenute” dal marito. Ma cosa prevede la legge? Il Codice Civile (art. 143) prevede che ciascuno dei coniugi sia tenuto a contribuire ai bisogni della famiglia, ma questo non si limita al fatto di percepire uno stipendio, bensì comprende anche i compiti di cura dei familiari, come figli o genitori anziani, o della casa. La legge prevede anche che entrambi i coniugi abbiano un tenore di vita unitario, cioè che possano disporre di risorse economiche adeguate, frutto del budget familiare. Se il coniuge si rifiuta di riconoscere questo diritto, viola il dovere di contribuzione a soddisfare i bisogni familiari, previsto dal Codice civile. Ricade in questo caso, per esempio, anche la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento.

 

Se poi la violazione è volontaria e ha come conseguenza quella di causare uno stato di bisogno nell’altro coniuge, il responsabile può essere denunciato per violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 del Codice penale). In casi ancora più gravi si può persino arrivare ai reati di maltrattamento in famiglia e violenza privata. In questa eventualità, che prevede solitamente l’allontanamento della vittima, il giudice può disporre un ordine di protezione (Art. 342 bis/ter Cod.civ.), cioè una misura cautelare che prevede l’obbligo di pagare periodicamente al coniuge vittima di maltrattamento, privo di mezzo di sostentamento, una somma di denaro.  

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