
Cosa fanno Conte, Zingaretti e Mattarella nelle ore cruciali della crisi e perchè ci occupiamo più di loro che di altri? All’estero in genere non si occupano della nostra crisi di governo, e quando lo fanno, come recentemente la tedesca Frankfurter Allgmeine Zeitung e lo spagnolo El Pais, non sono affatto teneri, scrivono le cose che spesso da noi, se mai vengono accennate, si perdono nel chiacchiericcio generale oppure vengono liquidate come opinioni di parte e iscritte nella polemica politica. Nessuno ha letto seriamente il Recovery plan, neppure qualche ministro che lo ha approvato, e il piano (seppure in gran parte a debito, e nonostante lo spostamento di più risorse sulla sanità) che dovrebbe trainare l’economia del Paese fuori dalle secche del Covid per ora resta un elenco di buone intenzioni. Intanto il virus continua a far bene il suo lavoro (siamo tra i primi al mondo per numero di morti rispetto agli abitanti, nonostante noi avessimo messo in campo più chiusure di tutti) e governo, esperti, commissario all’emergenza e regioni lo rincorrono come possono, pressochè alla giornata.
Tuttavia, le energie della politica (e di conseguenza del sistema mediatico) sono tutte concentrate sulla crisi di governo. Effettivamente converrebbe a tutti, a cominciare dai cittadini e dal Paese, avere un governo che producesse più risultati e meno chiacchiere. Vediamo la questione innanzitutto dal punto di vista dei tre protagonisti di cui sopra:
converrebbe al Capo dello Stato, che deve rispondere più di tutti all’Europa e a cui davanti alla storia non potrà bastare di aver deciso di non far contrastare abbastanza sui media l’assimilazione dei “responsabili” ai “costruttori” da lui evocati nel discorso di fine anno. Infatti, ed è facile riascoltarlo, allora il Presidente ebbe a richiamarsi ai costruttori non per evocare i voltagabbana in Parlamento ma per chiamare in servizio attivo tutti quelli che si devono mettere al servizio del Paese per costruirne le prospettiva di riscatto e di rilancio.
converrebbe a Giuseppe Conte, che lo guida tuttora e che potrebbe davvero pensare ad un percorso da leader più strutturato e meno legato al trasformismo come sua unica ispirazione, soprattutto se ben comincia e non fa votare le risoluzioni che seguiranno le sue comunicazioni a Camera e Senato e va subito dal Capo dello Stato a dimettersi. Si può fidare? Sì, se chiede alle forze di maggioranza un impegno solenne e formale a fare soltanto un nome secco al Colle, il suo, e tale richiesta può avanzarla già nel vertice di maggioranza di domenica sera (dove non c’è Italia Viva), quindi prima del suo intervento a Montecitorio lunedì 18, per poi rimettersi fiducioso nelle mani di Mattarella e delle forze di maggioranza che lo sostengono.
converrebbe al Pd, che sta pagando il prezzo più alto e che sembra indeciso a tutto poichè all’esterno parla quasi il solo Goffredo Bettini, il quale si è attestato in una indefessa difesa del premier più per ragioni, diciamo così, di affinità elettiva che politica. Domenica 17 gennaio Nicola Zingaretti nella relazione alla direzione ha confermato la posizione di chiusura a Italia Viva: ma siamo sicuri che essa sia condivisa dallo stesso Pd e davvero dallo stesso segretario, il quale non ha mai nascosto la sua opzione in favore delle elezioni anticipate? Tanto più, e non a caso, che sempre domenica 16 Luigi Zanda su Repubblica ha fatto notare che non si governa con un voto in più e si sa che Zanda e Zingaretti sono due facce della stessa medaglia.
converrebbe ai Cinque Stelle, per cercare di salvare quel (poco) che resta della loro presa del potere nel lontano 2018;
converrebbe a Renzi, il quale nonostante abbia ragione sul merito non riesce a far dimenticare la sua fama di distruttore.
Nel nostro piccolo, theitaliantimes.it aveva in tempi non sospetti suggerito al premier di essere lui a promuovere il rafforzamento del governo chiamando a collaborare anche personalità esterne nel nome dell’unità nella lotta alla pandemia. Più recentemente abbiamo sottolineato più volte le responsabilità del Pd, che ora rischia di pagare il prezzo più alto dopo aver fatto il donatore di sangue e aver nobilitato verso i media e l’opinione pubblica più avvertita l’alleanza con i Cinque Stelle, che da tempo non hanno più nel Paese una rappresentanza analoga al numero dei loro parlamentari. E ci siamo anche presi la piccola libertà di ricordare rispettosamente al capo dello Stato che diversi suoi predecessori nella situazione data avrebbero certamente promosso subito un governo di unità nazionale.
Tuttavia, i nodi sono arrivati ugualmente al pettine e ora si tratta di rimettere insieme i cocci, e di farlo nell’ambito dell’attuale maggioranza poichè nessuno in Parlamento vuole le elezioni e la stessa opposizione, che i sondaggi continuano a dare come vincente, è piuttosto ritrosa a pensare di ritrovarsi ad affrontare contemporaneamente l’ostacolo del virus e l’ostilità dell’Europa. Intendiamoci: l’argomento che in questa situazione non si può andare al voto è del tutto risibile, anzi proprio la pandemia dovrebbe giustificare il ricorso alla volontà popolare e tra l’altro le scuole dove allestire i seggi sono in gran parte vuote per la didattica a distanza e andare a votare non è certo più pericoloso che andare al supermercato.
Visto dunque che al voto non si va e che restano tutte valide le ragioni che imporrebbero scelte chiare e condivise, ci vorrebbe davvero, ora o mai più, un salto di qualità nella gestione del Paese da parte di tutti i principali protagonisti. Le ricapitoliamo per comodità: stiamo allegramente indebitandoci per diverse generazioni a venire; l’economia nonostante la forza del made in Italy boccheggiava già prima e oggi vede interi settori come turismo, commercio e ristorazione in ginocchio mentre i “ristori” che il governo può decidere sono acqua fresca rispetto alla batosta; la concorrenza mondiale sui vaccini e il ritmo della vaccinazione sinora impressa da commissario e regioni fa prevedere, secondo i calcoli di Luca Ricolfi, che ci vorrà se tutto va bene anche almeno metà del 2022 per avere una copertura efficace.
Dunque, poichè tra l’altro poi si entra nel semestre bianco, è questa l’occasione per dotarsi di un governo ben revisionato e magari con più cavalli nel motore. A tal fine, la prima cosa da fare non è contrattare (tra l’altro con modalità discutibili, elencate una per una domenica 17 gennaio dal direttore de La Stampa Massimo Giannini e dall’ex direttore Marcello Sorgi) con gli aspiranti responsabili, nè è utile richiamare in servizio Clemente Mastella e Massimo D’Alema per il semplice fatto che l’operazione con la quale i due 21 anni fa disarcionarono per la prima volta Prodi (nella seconda, qualche anno dopo, l’autore fu Fausto Bertinotti) aveva non solo la regia di Francesco Cossiga ma anche la copertura internazionale in vista della guerra del Kosovo. Comunque c’era a suo modo un respiro strategico che oggi non esiste, e non a caso l’operazione ha mostrato tutti i suoi limiti, al di là delle reciproche gaffes tra Mastella e Calenda ed è stata esclusa anche da candidati naturali come l’Udc di Lorenzo Cesa.
La seconda è ricostruire non solo la maggioranza con Italia Viva (che conserva il merito di aver sollevato sia pure maldestramente i problemi di sostanza insieme alle insofferenze che covavano sotto la cenere del Pd), ma la squadra del governo con l’apporto di personalità esterne che possano aumentare la capacità di messa a terra dei progetti, la cosiddetta execution. Qui ognuno pensi ai nomi che vuole, non ve ne sono moltissimi ma quanto basta ad un rafforzamento significativo certamente sì.
L’ultima ma non meno importante cosa da fare, anzi quella fondamentale, è cambiare il clima autarchico che ha caratterizzato sinora il governo Conte e che ne è stato il limite più grave, altrimenti non ci sarebbe stato nemmeno bisogno della crisi: quindi meno Dpcm e più discussione in Parlamento, autorità delegata ai servizi segreti, dialogo effettivo con le parti sociali, nonchè con i settori più danneggiati dalla crisi. Va recuperato davvero e non per finta il senso e la funzione dei corpi intermedi: basti pensare che Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, passa per un fiero oppositore del governo mentre ha fatto quasi autolesionisticamente solo rilevare nelle sue ultime interviste che l’associazione degli imprenditori non viene affatto consultata. Allo stesso modo, l’esecutivo ha deciso la chiusura dei centri commerciali senza mai parlare con chi li rappresenta (Confimprese, Consiglio nazionale dei centri commerciali e Federdistribuzione), oppure nel primo lockdown voleva fare i buoni spesa da spendere nei supermercati senza nemmeno informarsi su come organizzarli al meglio insieme ai capi delle principali centrali della distribuzione organizzata.
E soprattutto, di pari passo con il patto di legislatura ed è questo il dato più politico da porre sul tavolo, è necessario e opportuno lanciare un effettivo patto di consultazione con l’opposizione. Mattarella lo ha ripetutamente auspicato e non è stato ascoltato dal premier. Ora è il momento di farlo a prescindere dalle risposte di Salvini e Meloni, che ovviamente per ragioni di bandiera e anche di sondaggi diranno di no. E’ il governo che deve muovere in tal senso, Berlusconi a volte dirà si e a volte no, ma è tutto il centro destra che verrebbe posto di fronte alla necessità di convergere sui temi fondamentali e potrebbe così guadagnare referenze anche in Europa, spendibili poi se in futuro dovesse davvero vincere le elezioni.
In definitiva, niente “responsabili” ma scelta effettiva e concreta al dialogo con tutti coloro che rappresentano davvero politicamente ed economicamente il Paese; Recovery plan operativo sull’esempio francese, condivisione in Parlamento e non stati di emergenza continuamente da rinnovare quasi da far sospettare necessità inconfessabili di gestione. Il tutto in una operazione verità su dati, situazione economica e sanitaria per ricordare a tutti che la prima cosa che chi si trova a dirigere il Paese in questo momento storico, accanto alla salute e agli sforzi per non diventare più poveri di quanto già non si è, c’è la voglia sincera di mantenere la democrazia.
In tal modo il premier non avrebbe nemmeno bisogno di far girare sui tg le sue immagini solitarie, a velocità normale o accelerata che sia, nei corridoi di palazzo Chigi perchè potrebbe facilmente sostituirle con quelle relative agli incontri utili con chi rappresenta il Paese alle prese con il virus, poichè è bene ricordare che la confusione tra governare e comunicare rischia di fare danni a chi la fa e non solo a chi la subisce. Altrimenti, sarebbe facile concludere che in questa situazione l’unico vero professionista in giro per l’Italia (e per il mondo) è il Covid-19.