I ruoli chiave della PA

Capi di gabinetto e uffici legislativi, già partito il calcio-mercato

I ruoli più ambiti a palazzo Chigi e al Mef, il Consiglio di Stato vuole fare il pieno di propri magistrati. I nomi in ballo e qualche “topica” recente

Capi di gabinetto e uffici legislativi, già partito il calcio-mercato

Il via libera che si profila ormai con certezza di numeri in Parlamento per il governo di Mario Draghi, insieme ad un cambio che si profila più ampio del solito tra i ministri con l’innesco di diverse figure tecniche, ha già dato il via ad una sorta di calcio-mercato per comporre le squadre di vertice della pubblica amministrazione: invece di centravanti, portieri o centrocampisti qui si trattano capi di gabinetto, segretari generali e capi degli uffici legislativi, una quarantina di figurine Panini che si disputano 20-25 posti in serie A. Chi resta senza contratto aspetta il prossimo campionato e intanto sverna senza problemi al Consiglio di Stato, oppure alla Corte dei Conti o nella stessa pubblica amministrazione da cui in questo giro potrebe rimanere fuori dai ruoli apicali. 

 

A muovere le fila non sono gli storici maghi del mercato che si ritrovavano una volta all’hotel Gallia di Milano, accanto alla stazione centrale, i presidenti dal portafoglio pieno e quelli che fingevano di averlo per poi puntare al baratto oppure ad un colpo fortunato in prossimità della chiusura, gli Italo Allodi o i Luciano Moggi di turno, ma i tessitori di relazioni o di influenze politico-amministrative poichè “piazzare” un capo di gabinetto significa esercitare potere su di un ministero, che poi a sua volta è in relazione con tutti gli altri ministeri e il cerchio si chiude.

Chi poi ne piazza diversi, e li condisce con altrettanto capi o vicecapi degli uffici legislativi, ha messo in piedi una rete sensibilissima che ha voce sulle leggi, sulle decisioni piccole e grandi e che, soprattutto, ha influenza forte sui ministri. Storicamente, l’influenza è maggiore quando il ministro è poco preparato, come spesso è avvenuto in epoca grillina, minore quando il titolare del dicastero è politicamente agguerrito è dotato di una autonoma rete di relazioni.

 

Questa volta si parte proprio da palazzo Chigi, dalla figura amministrativa più importante, che è il segretario generale Roberto Chieppa, insediato da Giuseppe Conte, seguito a ruota dal capo di gabinetto Alessandro Goracci, l’uomo che ha fatto anche la trattativa sui responsabili, entrambi figli d’arte, e da De Francisco, capo del Dagl, il dipartimento affari legislativi dove Matteo Renzi, facendo scandalo ma infischiandosene, cinque anni fa aveva collocato Elisabetta Manzione, già capo dei vigili di Firenze e ora felicemente assisa al Consiglio di Stato e in attesa di nuove chiamate.

 

Si passa poi per il ministero dell’Economia se la difesa in extremis di Carlo Bonomi non dovesse bastare a Roberto Gualtieri per restare in sella mantenendo al suo posto Luigi Carbone, e via a scalare per tutti i ministeri. L’eccezione è quella dei ministeri della Difesa e dell’Interno, appannaggio il primo dei militari e il secondo dei prefetti.

 

Mario Draghi conosce bene questi meccanismi: è stato per circa un decennio direttore generale del Tesoro tra prima e seconda Repubblica, a partire da Guido Carli e Carlo Azeglio Ciampi ministri. Ha gestito le privatizzazioni ed ha affermato il suo stile di riservatezza ma anche di ascolto. Si presume quindi che porrà particolare attenzione alle scelte più importanti sottraendole al calcio-mercato e ai suoi burattinai. Magari penserà anche di ripristinare le riunioni del preconsiglio dei ministri, laddove capi di gabinetto e capi degli uffici legislativi trovavano l’accordo tecnico sui testi dei provvedimenti con l’indirizzo politico del sottosegretario alla presidenza, che poi si trasferiva a fare da segretario al Consiglio dei ministri. Durante i governi Conte infatti tale riunione era stata abolita perchè le forze politiche di maggioranza non riuscivano quasi mai a trovare l’accordo sul testo delle misure, che venivano approvate per titoli e “salvo intese”. Una prassi deleteria, che ha portato nell’ultima legge di bilancio a dover fare un decreto correttivo poichè ore dopo la sua approvazione. A palazzo Chigi è anche rimasto celebre il passo falso di Chieppa con la Ue che ha scritto una lettera per bocciare il governo sulla questione Autostrade.

 

Dopo Draghi, ma ovviamente non con la sua carriera e il suo prestigio, a via XX Settembre ha vissuto abbastanza a lungo Mario Fortunato, negli anni di Tremonti, Grillo e Siniscalco. Poi Roberto Garofalo con Padoan e Tria per finire a Luigi Carbone, anch’egli figlio d’arte (oltre che musicista anche in trasferta all’estero), con Gualtieri.

 

Ma chi tira le fila? Chi sono i burattinai? Il principale indiziato è Filippo Patroni Griffi, napoletano, presidente del Consiglio di Stato, all’apice della magistratura amministrativa del Paese (è lì, a palazzo Spada, accanto a piazza Farnese a Roma, che si appellano le sentenze del Tar), perché i componenti del Consiglio hanno le competenze formali per essere “piazzati” come magistrati in posizioni istituzionali di tutto rilievo. Al piazzista non interessa cosa faranno queste persone in quei posti, interessa governare potere diffuso, essere il referente. Poi, se un’opera si fa dopo decenni, a lui, a loro, non interessa minimamente. E se, tornati al consiglio di stato, dopo “l’esperienza” (così la chiamano...), si trovano,  nell’esercizio delle loro funzioni, in conflitto di interesse, nessun problema: loro sono al di sopra della legge. L’attesa a Roma questa volta è che Mario Draghi trovi un quarto d’ora per selezionare invece persone che hanno il know how dell’amministrazione, non consiglieri di Stato-legulei che magari fanno danni e vanno via mentre le amministrazioni decadono sempre di più.

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