
Il Covid si è portato via Franco Marini. Leader della Cisl, presidente del Senato, segretario del Partito popolare, soprattutto “lupo marsicano”, abruzzese forte, capace e generoso. Uno di quelli che ha contribuito a fare la storia italiana a cavallo tra prima e seconda Repubblica. Poichè l’uomo era apprezzato da tutti, le lodi in morte saranno ben superiori a quelle in vita, segnata da traguardi importanti con l’amarezza finale di non riuscire a correre per il Quirinale.
Tra le tante testimonianze che si stanno affastellando sulle agenzie e sui social riportiamo quella di Goffredo Bettini, non solo perchè è stato lo stratega del Pd nella tanto strenua quanto inutile difesa del governo Conte, ma in quanto racconta come nei decenni scorsi dialogavano uomini che erano su sponde politiche opposte ma che si rispettavano. Ecco Bettini: “Ho sempre ammirato Franco Marini come politico e ho avuto anche la fortuna di incrociarlo tante volte nel corso della mia vita. Sono, così, divenuto suo amico e ho potuto conoscere anche le sue qualità umane, caratteriali e intellettuali. È stato un sincero democratico, antifascista, popolare. Ha servito le istituzioni, oltre che la Cisl, il suo amato sindacato. Ero senatore quando lui presiedeva il Senato con straordinaria autorevolezza, equilibrio e senso dello Stato. Aveva la tenacia, il coraggio, "l'asprezza buona" (e alla fine gentile) della sua terra, l'Abruzzo. Gli piaceva chiacchierare, interessarsi a tutto, capire gli altri per capire meglio cosa egli stesso fare. Uomo di una politica ragionata, radicata, rappresentativa, consequenziale, intimamente coerente. Se c'era da "svoltare", lo faceva con quel tanto di velocità politica che serve, ma mai improvvisando. Mai rinnegando i suoi ideali più profondi”.
Continua Bettini: “pur venendo io da un'altra tradizione, quella dei comunisti italiani, non gli ho mai sentito pronunciare una parola pregiudiziale, enfatica, ideologica nei confronti della mia storia. Sapeva che seppure le rispettive radici erano lontane, la fondazione della Repubblica aveva costruito basi comuni, responsabilità comuni, obiettivi che a certe condizioni potevano diventare comuni. L'ho trovato pronto a costruire a Roma l'unità tra la sinistra e i popolari. È partito da lì il "Modello Roma", con Rutelli e poi Veltroni. Ha difeso i popolari dalle incursioni del populismo. Ha aiutato, forse come nessun altro, la preparazione della nascita del Partito democratico. Decine di nostre conversazioni private nel suo studio a Palazzo Madama sono uno dei ricordi più belli di scambio fraterno e disinteressato per cercare di dare, dopo la stagione dell'Ulivo, una bussola alle forze democratiche italiane. Fu il primo a comprendere l'importanza in quel momento di convincere Walter Veltroni a guidare il campo democratico. Fino agli ultimi giorni era vigile, combattivo. Con i suoi occhi vividi, scintillanti e indomiti. Insomma, se ne va un "politico di razza". Un cattolico impegnato nel tempo in cui gli è toccato vivere. Anche un grande tattico, organizzatore, fino in fondo uomo di partito e di sindacato ma con una parte di sé in grado di abitare territori integri di passione, umanità e libertà”.