
Mentre la corsa globale all’acciaio “pulito” si fa sempre più incalzante, i produttori europei temono che, se non si muoveranno velocemente nell’implementazione dei piani di decarbonizzazione per contribuire agli obiettivi “emissioni zero”, ci saranno ripercussioni di mercato, dove i competitor asiatici emergenti potrebbero avere la meglio.
Sforzi e sfide del Green Deal
I target stabiliti dal Green Deal dell'Ue, per diventare il primo continente climaticamente neutrale entro il 2050, stanno esercitando crescente pressione su diversi comparti del Made in Europe. Un patto verde che non risparmia l’acciaio, dove chi non è in grado di decarbonizzare rapidamente rischia di essere inghiottito dai produttori più forti. I ritardatari dovranno affrontare l’ascesa di quelle grandi case asiatiche che sembrano aver già promesso - e comunicato senza mezzi termini - di essere in grado di ridurre le emissioni di gas serra.
Junck, Presidente di Liberty Steel Europe UK, quarto produttore di acciaio in Ue, ha affermato che le aziende dovrebbero “stringere i denti” e investire in forni elettrici ad arco alimentati da energia rinnovabile. Secondo Junck, l’industria siderurgica europea è dell’idea che il 2050 rappresenti una scadenza troppo ravvicinata. Ma che, spesso, questo stress da prestazione sui goal attesi può diventare una motivazione usata “difensiva” per rinunciare agli impegni imposti da un percorso di transizione.
Green recovery, ultima chiamata per acciaio “smart”
Per Suzana Carp, Direttrice a Bellona Europe, non c’è tempo da perdere dato che la transizione ormai è ineluttabile e la “finestra” disponibile per mettere in atto la decarbonizzazione industriale va dai 3 ai 5 anni. “Le aziende siderurgiche in Cina, che sono i maggiori concorrenti di quelle europee, si stanno muovendo (...). Se le loro emissioni raggiungono il picco entro il 2023, l’Ue ha solo fino al 2023” per posizionarsi - presto e con corporate che siano leader - nel mercato mondiale dell’acciaio verde, ha spiegato l’esperta.
Il Ministero cinese della Tecnologia sta preparando un piano quinquennale per le acciaierie nazionali – che complessivamente sono più della metà della produzione mondiale - per tagliare le emissioni passando a forni elettrici ad arco e riciclando sempre più scarti. Recentemente, il colosso cinese Baowu (società di proprietà statale e numero 2 per fatturato globale) - ha annunciato di essere pronto a conseguire la neutralità entro il 2050, confermando che il climax delle emissioni si registrerà nel 2030.
Anche Nippon Steel (Giappone) e Posco (Corea del Sud) stanno andando in questa direzione al fine di garantire l’azzeramento dell'inquinamento entro il 2050.
Taglio emissioni “a tutti i costi”: l’esempio di ArcelorMittal
ArcelorMittal, il gigante dell’acciaio europeo, è stato il primo grande produttore a puntare su “emissioni nette a zero” entro il 2050. L’annunci ufficiale risale a settembre 2020, quando ha presentato le linee principali dei piani innovativi e green che prevedono la combinazione di piccole quantità di idrogeno con il carbone in un altoforno o la sostituzione del carbone con la biomassa legnosa tramite processi denominati “Smart Carbon”. L’azienda ha le dimensioni e le attrezzature per avere un impatto significativo: uno dei suoi siti ad Amburgo è l’unico attualmente in grado di produrre nuovo acciaio con forni elettrici ad arco in tutta l’Unione europea. L’impianto è studiato per ammorbidire il minerale di ferro con gas naturale (un processo che riduce le emissioni di CO2) per sostituirlo in futuro (come si ipotizza) con l’idrogeno.
Eppure ArcelorMittal, nel suo piano d'azione per il clima, asserisce che l’estensione di questi metodi di produzione sostenibile a favore dell’ambiente non avrà conseguenze indolori sui profitti. Infatti, la transizione "costerà miliardi di euro" e non sarà redditizia prima del 2030. Potrebbero avere quindi un effetto compensatorio, i sussidi pubblici e una tassa Ue sullo scambio delle emissioni tra Paesi.