
Questi anticorpi fabbricati in laboratorio, nonostante siano tra i medicinali più venduti al mondo (a cominciare dalla lotta contro il cancro e l'artrite remautoide), non sono ben conosciuti dalla popolazione. Se questi monoclonali contro il Covid effettivamente non dovessero funzionare, ne deriverebbe scetticismo e qualcuno dirà che non sono buoni e non vanno più usati, mentre sono e resterebbero una grande risorsa per altre malattie. Sinora sono state registrate reazioni avverse nella cura dei tumori e patologie autoimmuni come l'artrite o lupus.
I più comuni effetti collaterali di questi farmaci sono nel luogo di iniezione: rossore, bruciore e prurito, con allergie anche gravi. Dalle pubblicazioni, risultano dati sull'insorgere di infezioni gravi, con conseguente morte, ospedalizzazione o somministrazione endovenosa di antibiotici. Sono stati osservati casi di comparsa e/o riattivazione di malattie demielinizzanti (sclerosi multipla, neurite ottica, mielite trasversa idiopatica, sindrome di Guillan-Barrè, polineuropatia infiammatoria cronica demielinizzante). Particolarmente a rischio sarebbero i pazienti affetti da patologia infiammatoria intestinale. Nella maggior parte dei casi, la sospensione del trattamento con farmaci biologici determina la risoluzione parziale o completa del quadro neurologico quasi in tutti i pazienti.
Da una recente metanalisi, è emerso che durante il trattamento con farmaci biologici e biosimilari si possa diagnosticare e/o riattivare tubercolosi (0-0.6%), insufficienza cardiaca congestizia e linfoma. Si sospetta che la terapia immunosoppressiva per artrite reumatoide possa indebolire la sorveglianza immunitaria correlata a necrosi determinando un aumento del rischio di incidenza di tumori, ma nello specifico le evidenze sono poche. Dai dati estrapolati dalla pratica clinica, si deduce che la somministrazione di farmaci biologici (anticorpi) inibitori TNF-alfa ( "tumor necrosis factor" / citochine infiamatorie) in combinazione con DMARDs ("farmaci di fondo" quali ad esempio il methotrexate, la sulfasalazina etc.) in gestanti affette da artrite reumatoide incrementa il rischio di aborto spontaneo. Lo scompenso cardiaco congestizio in classe NYHA III o IV costituisce una controindicazione assoluta all'utilizzazione degli anti-TNF-alfa per il pericolo di peggioramento del quadro clinico e di decesso del paziente.
Una cosa è certa. Non abbiamo a che fare con una invenzione degli ultimi mesi, come spesso sembra dalla lettura sui media e sui social. Nel 1984 il tedesco Georges Köhler, il danese Niels K.Jerne e l'argentino di origine ebraica César Milstein hanno ricevuto il Premio Nobel per la medicina per questa scoperta. La motivazione del Nobel fu "per il lavoro sul sistema immunitario e la produzione di anticorpi monoclonali". Questi ultimi, nel corso degli anni Duemila, hanno portato a confezionare farmaci denominati Humira, Remicade, Ipilimumab, Nivolumab etc., per un giro di affari annuale sui 100miliardi di dollari.
La teoria dei suddetti Nobel fu ripresa successivamente dagli scienziati australiani Frank Mac Farlane e Peter Doherty. Successivamente ci sono stati altri scienziati/Nobel e nuovi studi fino al rilascio delle citochine da parte dei linfociti T: ecco il fenomeno noto come “tempesta di citochine” (ora riportato dalla polmonite da Covid-19). Le citochine sono proteine che inviano segnali al sistema immunitario restando in attesa di diverse risposte veloci, come la crescita cellulare e l'infiammazione.
In Italia il ministero della Salute ha dato il via libera a queste "molecole di sintesi" tra dubbi e polemiche "in via straordinaria e in considerazione della situazione di emergenza”, recependo le indicazioni relativamente positive dell'Agenzia italiana del farmaco e del Consiglio superiore di sanità in quanto l'efficacia di questi benedetti anticorpi appare incerta, ma che, nonostante un insicuro beneficio, “meritano di essere utilizzati e sperimentati in particolari situazioni cliniche di certi pazienti”. Difatti, la stessa Agenzia ha posto dei limiti, in considerazione del fatto che il prodotto anticorpale non ha completato tutto il percorso previsto dalla sperimentazione e dai trial clinic, test che indicano una tipologia di ricerca condotta al fine di raccogliere dati sull'efficacia e la sicurezza di nuove terapie farmacologiche o dispositivi medici.
Si tratta della cosiddetta medicina basata sull'evidenza. Si analizzano i vantaggi, gli svantaggi, i rischi e i benefici dei trattamenti. Il trattamento, da fare a domicilio, dovrebbe essere riservato a soggetti con più di 12 anni, positivi al coronavirus, con lieve sintomatologia e con espressione di qualche fattore di rischio, come alcune patologie croniche. Ricordiamo che un farmaco, ma anche un vaccino, può essere autorizzato per via centralizzata (passando prima dall'Ema, l'autorità europea) o tramite procedura decentrata, ottenendo cioè l'autorizzazione alla messa in commercio in una singola nazione.
Dopo la decisione dell'Aifa, in Italia si è scatenato il dibattito tra scienziati favorevoli e contrari al loro utilizzo. Gli anticorpi monoclonali non hanno ancora ricevuto il via libera europeo, ma prima dell'Italia anche Germania e Ungheria li hanno autorizzati. I monoclonali attualmente a disposizione non possano essere usati in una fase tardiva della malattia. In quel caso, anzi, sarebbero addirittura pericolosi. Affinché essi siano efficaci, è necessario assicurare ai malati di Covid una diagnostica rapida. La somministrazione avviene per via endovenosa, anche in dose unica; si sta valutando su alcuni nuovi prodotti la possibilità di un'iniezione intramuscolare. In molti consigliano di eseguire la terapia in ospedale perché i monoclonali quando (raramente) danno dei problemi, possono creare delle crisi anafilattiche, e nel giro di pochi minuti bisogna intervenire.
Di questi anticorpi "artificiali", che hanno il compito di incrementare la risposta immunitaria contro i virus, sono in vendita, per ora, il Regen-Cov della Regeneron che si fonda sugli anticorpi Casirivimab e Imdevimab, e il Bamlanivimab. Quest’ultimo è prodotto da un'azienda italiana (Bps Pharmaceuticals, con sede a Latina) ma di proprietà della casa farmaceutica statunitense Eli Lilly. Per riconoscerli, fare attenzione al -mab finale nel nome (casirivimab, imdevimab, bamlanivimab, etesevimab). I primi due, casirivimab e imdevimab, sono stati sviluppati e prodotti in collaborazione da Regeneron Pharmaceuticals e La Roche. I secondi, bamlanivimab e etesevimab, sono stati messi a punto da Eli Lilly.
Inoltre, si hanno altre aziende farmaceutiche e centri di ricerca che lavorano su questo genere di anticorpi come l’AZD7442, una miscela di molecole dell'AstraZeneca, e due preparati italiani a cura dei ricercatori del Monoclonal Antibody Discovery Lab di Siena, e quello del genetista Giuseppe Novelli (Università TorVergata) in collaborazione con l'Università di Toronto.
Gli anticorpi monoclonali costano parecchio, fino a 2mila euro a dose (1250 dollari in Usa), e avranno una copertura economica da un fondo straordinario (come per i vaccini) basato sul Decreto 219 del 2006 collegato alla direttiva Ue 83 del 2001 e che fu utilizzato nel 2006 per il virus Ebola. Il governo italiano ha riservato un fondo di oltre 400 milioni di euro e lo ha fatto utilizzando una procedura prevista per le emergenze chimico-batteriologiche e i disastri nucleari. Un simile fondo (500 milioni all'anno) era stato stanziato nel 2017 per coprire i costi dei farmaci oncologici innovativi, ma è giudicato insufficiente dagli esperti.
Come accade di questi tempi, è sopraggiunta una polemica tra il direttore generale dell'Aifa Nicola Magrini accusato di "conflitto di interesse" dal virologo Guido Silvestri per non aver accettato ad ottobre 2020 decine di migliaia di dosi dell'anticorpo Bamlanivimab, offerte gratuitamente all'Italia per uno studio clinico: è chiaro che affermazioni di questa portata necessitano di prove valide, mentre da parte nostra dobbiamo sottolineare che può e deve essere legittimo impedire che i malati diventino vere e proprie cavie umane qualora esistono molti dubbi e perplessità sugli effetti collaterali ( noti e non noti) del farmaco in questione.
Da parte sua, il dg dell'Aifa Magrini ha manifestato un atteggiamento prudente ma favorevole, pur con numeri e deduzioni che sono poi contestati da uno dei produttori autorizzati. "Li useremo per i casi gravi, sono gli unici farmaci che battono il virus", ha affermato Magrini, salvo poi contenere gli entusiasmi ricordando che "il via libera di Aifa si basa su dati preliminari e immaturi per la conseguente incertezza rispetto all'entità del beneficio". E ha aggiunto che si tratta di farmaci da non usare su pazienti già in fase avanzata di malattia perchè non avrebbero alcun effetto positivo.
Sull'aspetto normativo appare ormai certo che non fosse necessario aspettare l'autorizzazione dell'Ema. In Italia fu fatta una legge ad hoc: la 648/96 consente l'uso di farmaci non autorizzati dall'Ema per i quali non esista una terapia alternativa. Accadde nel 2005, ad esempio, col Trastuzumab per il tumore alla mammella, un altro monoclonale. La condizione necessaria, dice la legge, è che esistano "studi conclusi, almeno in fase II, che dimostrino un'efficacia adeguata con un profilo di rischio accettabile a supporto dell'indicazione richiesta”.
Comunque, l'agenzia americana Fda ha autorizzato l'uso di anticorpi monoclonali per pazienti a domicilio e non carenti di ossigeno. I risultati dello studio Blaze-1 che hanno dimostrato una riduzione del rischio di ricovero del 70 per cento in questi malati (ma su una casistica molto piccola) sono stati valutati “sufficienti”per questa decisione. Pertanto, a maggior ragione, occorre uno studio clinico che estenda la statistica a gruppi più ampi di pazienti, perché le evidenze complessive sono ancora molto limitate.
Difatti, l'approvazione di emergenza di Aifa e Fda deve trovare riscontro su scala più larga e sulla base di studi più consistenti di quelli già praticati. Ancor più, tenendo conto che l'uso clinico di anticorpi monoclonali, come di tutti i farmaci antivirali, determina la selezione di “virus mutanti” che potrebbero snaturare una terapia costosa che su di loro diventerebbe inefficace. Sarebbe utile migliorare anche la definizione dei pazienti che potrebbero beneficiare della terapia, come ad esempio gli immunodepressi.
Tuttavia, con le nuove “varianti mutate” o mutanti del Covid, sarà quasi obbligatorio valutarne l'efficacia quasi caso per caso. Il famoso dottor Anthony Fauci, capo degli esperti Usa, ha dichiarato a gennaio che "stanno uscendo un certo numero di articoli in pre-pubblicazione che dimostrano che, quando si parla di anticorpi monoclonali, l'efficacia di molti di questi farmaci è completamente negata dalla mutazione (sudafricana)".
Gli anticorpi monoclonali rappresentano dunque un farmaco molto complesso da usare e ancora da sperimentare, e dovrebbero essere utilizzati in trial clinici, randomizzati e controllati. Non sappiamo ancora se siano del tutto efficaci in rapporto ai dati che abbiamo a disposizione. I monoclonali riescono a bloccare il virus all'inizio di un'infezione legandosi alla proteina spike che permette al virus di "appiccicarsi" alle cellule dell'organismo, introducendosi facilmente. Con i monoclonali, si avrebbe una risposta immediata. Pertanto, in caso di attacco, essi agiscono per bloccare subito il virus. Non sono sono alternativi al vaccino che deve stimolare una risposta del sistema immunitario, ma rappresentano una ulteriore possibilità di cura, rapida.
I monoclonali sono già stati utilizzati in Italia durante la prima ondata (da ricordare quello all'ospedale Pascale di Napoli del professor Ascierto) con lo studio Tocivid-19 approvato dall'Aifa su efficacia e sicurezza del Tocilizumab o Roactemra (offerto gratis dall'azienda Roche), che coinvolse 330 pazienti. Il Tocilizumab è stato somministrato ai pazienti nella fase più acuta della “tempesta di citochine”, una risposta infiammatoria del sistema immunitario che può essere incontrollata e causare la maggior parte delle condizioni critiche fino alla morte del paziente. Secondo un report diffuso nell’agosto 2020, il Tocilizumab, non sembra avere effetti significativi sui pazienti ricoverati per una grave polmonite dovuta al coronavirus, mentre avrebbe ridotto il tempo di degenza dei malati in alcuni sottogruppi scelti.
Le deduzioni cliniche sono derivate da una analisi internazionale di fase III (gli studi più attendibili, in quanto prevedono che ad alcuni pazienti sia somministrato il farmaco e ad altri no per poi mettere a confronto i risultati). La ricerca, chiamata "Covacta", è stata condotta dal gruppo farmaceutico Roche (che ha la proprietà del brevetto del farmaco) e ha coinvolto oltre mille pazienti di vari centri ospedalieri nel mondo di sui solo una decina in Italia (dove sono in corso altri studi). La ricerca, purtroppo, non ha dimostrato un significativo miglioramento clinico delle condizioni di pazienti critici, parametro che costituiva l'elemento principale dello studio. Anche essenziali obiettivi secondari, tra cui una differenza di mortalità a quattro settimane dall'esordio dei sintomi, non sono stati raggiunti.
Di recente in alcuni ospedali del Regno Unito si stanno curando i malati di Covid-19 con questo Tocilizumab che in diversi casi sembra abbia evitato il trasferimento in terapia intensiva. Nelle procedure scientifiche si effettuano le sperimentazioni, i clinical trials. Viene dato a mille persone il farmaco e ad altre mille un placebo ( non farmaco), e poi si paragonano i gruppi. Inoltre, bisogna guardare il funzionamento dell'anticorpo monoclonale, il quale si lega al virus e lo porta via con sè.
Il tutto dipende dalla quantità di anticorpo sintetico che viene somministrata. Siccome il virus si moltiplica a dismisura, più molecole monoclonali vengono immesse in circolo, migliore può essere il risultato. Allo stato, la dose autorizzata da Aifa è di 700 milligrammi. Dosaggi maggiori (fino 4 grammi) non sono stati ritenuti validi perchè i dati statistici non sono buoni. È vero che l'ex presidente Trump ha avuto una dose maggiore, ma un caso non fa numero nei calcoli medico-scientifici.
Circa i possibili dati certi sull'effetto dei monoclonali, il professor Giorgio Gilestro da Londra, ha affermato che "se andiamo a vedere la scienza, le differenze tra guariti e non guariti sono talmente piccole che non possiamo statisticamente dire se sono reali o attribuibili al caso. I numeri sono così piccoli perché sono numeri che si riferiscono alle famose fasi di sperimentazione 1 e 2, cioè quelle che si fanno per avere i dati preliminari. Sulla base di quei dati preliminari, poi, si decide di andare alla fase tre.
Ormai è un concetto che ci è familiare, tramite i vaccini”, e che "quindi per tutti questi anticorpi monoclonali abbiamo dei dati, quelli che sono stati quelli utilizzati da Fda e Aifa, e che si basano sulle sperimentazioni di fase 2, ma non ci sono dati definitivi sulle sperimentazioni di fase 3. Ebbene, cosa ci dicono questi numeri? Ci dicono che c'è una piccola differenza - si parla di una riduzione del rischio che va dal 5 al 10 per cento - ma statisticamente non significativa, indistinguibile dal caso”.
In definitiva, ci sono due particolari fattori che hanno influenzato la decisione di Aida e Fda. Da un lato, c'è una pandemia mondiale, e quindi si cerca di prendere qualsiasi possibile farmaco. Dall'altro, lo sviluppo di questi monoclonali è tutto già stato pagato da Trump con l'operazione Warp Speed, che gli Stati Uniti hanno messo in piedi e che appare conveniente continuare per l'aggiunta di spese accessorie di molto inferiori alle prime. Dobbiamo augurarci che altre ricerche possano definire meglio e in senso più favorevole il profilo di efficacia e di sicurezza di questi anticorpi monoclonali per il Covid, indicando anche se possano avere una ricaduta sulla mortalità.
A tal proposito, sarebbe opportuno riservare il loro utilizzo nell'ambito di studi randomizzati (come quello bandito dalla stessa Aifa). Per ora dunque si dovrebbe fare attenzione a deliberare forti somme per queste terapie. È bene fare ricerca, trial, sperimentazioni e attendere i risultati, come si è fatto con i vaccini. Si poteva immaginare che qualcuno autorizzasse un vaccino dopo la fase 2, saltando la fase 3. Eppure con i monoclonali è accaduto. Indubbiamente in Italia c'è stata molta pressione politico/sanitaria di alcuni tra medici e biologi, siano essi patologi, virologi, immunologi, infettivologi, microbiologi, epidemiologi, oppure semplici igienisti.