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La tv resta lo specchio del Paese, ma gli spot li ispira Bridgerton

Sono sparite le pubblicità sessiste in televisione, avanza il multiculturalismo. Restano invece fermi i libri di scuola. Dove si formano ruoli e stereotipi

La tv resta lo specchio del Paese, ma gli spot li ispira Bridgerton

Il successo vero si vede dalle piccole cose quotidiane. Dalle reazioni della gente per strada, nelle conversazioni colte nei bar finalmente riaperti. E anche negli spot della tv generalista. Non pensate neanche per un istante che i social abbiano sostituito del tutto la vecchia cara tivvù, e lo scriviamo proprio così, come usava vent'anni fa. Non ci sono solo Instagram, ClubHouse, i balletti o le sessioni di manicure dei tiktoker (quando non sono sfide estreme, che è ovviamente molto peggio). La grande tendenza popolare, il successo grazie al quale si viene fermati per strada passa ancora per le reti televisive. In questi giorni di consultazioni e di dirette parlamentari, fra uno stacchetto e l'altro abbiamo notato l'improvvisa comparsa di coppie di diversa etnia nelle pubblicità dei prodotti mass market: lui alto, muscoloso, bello, pelle ambrata. Lei bionda, minuta, diafana, un po' meno attraente di lui. Pasta Barilla, per esempio. Ma anche Pandora.

 

Vi ricorda qualcosa? Certamente sì, non abbiamo dubbi perché in caso contrario i creativi delle agenzie non ci avrebbero pensato mai. La coppia "modello Otello e Desdemona" è la nuova tendenza da quando il serial di Netflix Bridgerton, domina le classifiche delle views successo mondiale degli ultimi mesi, nonostante o forse grazie all'incredibile kitsch dell'insieme, a partire dalla sceneggiatura. Nel giro di un mese, la tv nazionale si è popolata di cloni variamente riusciti di René- Jean Page, aka duca di Hastings, il nuovo sex symbol delle signore di ogni età, e di epigoni ancor più scialbe di Phoebe Dyvenor, l'interprete di Daphne Bridgerton. Ma se lo spunto di questi filmati pubblicitari mira ovviamente a sfruttare la notorietà del prodotto di Netflix, la ricaduta di queste immagini in termini sociali è molto rilevante.

Noi, cioè io che firmo in modalità editoriale, noi  "The Italian Times" intendo, apparteniamo alla generazione in cui gli sceneggiati tv erano popolati di cattivi cinesi manchu interpretati dal buzzurro della periferia romana con i baffi sottili e spioventi e la comparsa di Kabir Bedi con il kriss di Sandokan fu un evento sconvolgente. Lo spot di Gavino Sanna con la bimba cinese adottata che aspirava lo spaghetto fu un accadimento talmente miracoloso che i giornali ne parlarono per settimane. La società italiana stava cambiando? Non ancora (la bimba era di carnagione bianchissima nonostante i tratti asiatici, pettinatissima, elegantissima, assimilatissima), ma si iniziava a percepire una flebilissima voglia di guardare oltre ai confini di Chiasso.

 

Fra le migliori intenzioni e la più bieca ipocrisia, la nostra televisione serviva ogni giorno una quantità indefinita ma comunque incredibile di sessismi, intolleranza razzista, interpretazioni grottesche e speditive di culture millenarie (quella nipponica e cinese, di nuovo, in particolare, ma anche "l'India misteriosa” era un topos parecchissimo frequentato). Era una tv per certi versi più spiritosa, meno imbrigliata dal politicamente corretto, che però, vista con la sensibilità di oggi, fa spesso accapponare la pelle, soprattutto nella trattazione della figura femminile, in particolare nella pubblicità.

Pur fra sciurette che passavano la cera in casa in tacchi e chignon cotonato e sciure vere che servivano il liquore Strega in salotto, modello Sylva Koscina, gli Anni Sessanta passarono tutto sommato abbastanza lisci: lo stereotipo binario sulla donna strega-madonna era talmente radicato che estirparlo dai programmi, nonostante la presenza di attrici di gran calibro, sarebbe stato pressoché impossibile, e l'indirizzo generale era comunque rispettoso. Sessista, ma senza volgarità. Il dramma si verificò con quasi vent'anni dopo, cioè oltre un decennio dopo il Sessantotto, al momento in cui Milano si scoprì non solo "da bere", come scrivevamo in questo spazio poche settimane fa, ma anche da sfruttare in ogni modo. Moda, pubblicità, tv commerciale.

 

Le donne in hot pants sdraiate sul cofano delle auto con la pompa di benzina in mano, modello degli annunci primi Anni Sessanta, si moltiplicarono in un esercito di donnacce sguaiate, sculettanti, che offendevano e imbarazzavano se stesse prima ancora di ogni altra donna: le ragazze mute o balbettanti, di cui tutti attendevano con trepidazione la papera voluta e programmata, sono progressivamente scomparse, senza quasi che ce ne rendessimo conto, sull'onda di una pressione sociale e mediatica sempre maggiore.

"La tv delle ragazze", unico antidoto a quegli anni di imbarazzo permanente, è un meraviglioso quanto lontano ricordo, ma le ragazze televisive sono sempre meno simili alle Tinì Cansino del Drive In con le coppe imbottite che mugolava battute satiriche pur intelligenti ma destinate inevitabilmente ad essere assorbite dalla sua scollatura (oggi la signora, nata in Grecia come Photina Lappa, presiede a quanto dice il web il cosiddetto "trono over" del programma pomeridiano "Uomini e Donne"; se pensiamo che un tempo venne spacciata ai giornali come una lontana parente di Rita Hayworth, nata appunto Margarita Cansino, capiamo anche da dove origini la metodologia della "nipote di Mubarak").

 

Per chi guarda i programmi del tardo pomeriggio adesso, immaginare una tv piena di uomini in giacca e cravatta affiancati da donne discinte è molto difficile, benché ve ne sia ancora qualche esempio, resistente non si sa perché e soprattutto per chi (o forse sì: gli over sessanta di provincia, non acculturati, ovvero gli stessi che ti urlano dietro "taci, bagascia" quando per strada ricordi loro di alzare la mascherina, e tu ti ritrovi a pensare a che razza di vita debbano fare le loro mogli). Donne in funzione decorativa mezze nude resistono perlopiù nelle tv di provincia, ancorate agli Anni Ottanta e a quelle particolari luci fredde, in quelle inquadrature sguince, in quelle scenografie che le qualificano immediatamente come tali.

Altrove sono sparite, insieme con la pubblicità più vergognosa di tutte, quella dei prodotti Saratoga con i suoi doppi sensi; talmente imbarazzante da essere diventata un paradigma. Abbiamo visto con piacere perfino le Veline trasformate in avatar nel corso della sigla di apertura di Striscia la Notizia; vorremmo vedere dei Velini, per una volta, anzi non vorremmo vedere più niente, proprio: una bella sigla e tanta bella satira, punto. Ma già adesso, vedere relegate in soffitta quelle tutine luccicanti, quei vestiti da passeggiatrice, quei reggiseni (ci dicono che la Rai ne abbia fatto una bella infornata, cioè li abbia distrutti), vedere che nessuno insegue più una donna, fosse pure per offrirle un fiore, ci pare un primo passo importante. Adesso, tocca ai libri di scuola. Ne parleremo a breve.

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