
Nemmeno la rapida svolta in senso europeista di Matteo Salvini è riuscita a mascherare i due approcci differenti sul tema dell’Europa tra lui ed Enrico Letta. Nel loro primo confronto pubblico, tra il leader del Carroccio e quello Dem insiste una marcata diversità di opinioni su un tema niente affatto secondario per lo scenario italiano: il ruolo dell’Ue, il suo futuro, il rapporto tra entità nazionali e istituzioni di Bruxelles. L’occasione del duello la offre l’Ispi- l’Istituto per gli studi di politica internazionale durante la presentazione del rapporto 2021: “Il mondo al tempo del Covid. L’Ora dell’Europa?”
Non poteva esser diversamente. Per quanto convinta dell’ingresso nell’esecutivo di unità nazionale, la Lega di Salvini fa fatica ad abbandonare la matrice sovranista, come segno distintivo e identitario. Il salto in territorio europeista è avvenuto sulla carta, per una sorta di proprietà transitiva. Un’operazione che ha un suo valore nominale ma, a quanto pare, non ancora sostanziale. Così sono le “radici fondative” quelle su cui più volte il segretario leghista torna. Chiede un “europeismo e un sovranismo coordinati dal pragmatismo di Draghi. Più Europa in alcuni settori, come salute, difesa e politica estera. Meno in altri, quelli che riguardano la quotidianità delle persone”. Dice “sì all’Ue del Recovery, no a quella del bail-in e della direttiva Bolkestein sui servizi”.
Avverte: “mettiamo in comune alcune scelte importanti, ma va lasciato spazio a 27 comunità diverse, 27 culture, 27 identità. Se le comprimiamo non andiamo molto lontano”. Non sembra a suo agio il segretario del Carroccio, l’argomento Ue non è più un cavallo di battaglia ma è diventato terreno scivoloso. Emma Bonino, altra ospite, risponde all’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente Ispi e moderatore dell’iniziativa, e incalza su un aspetto fondamentale: la riforma dei Trattati “per raddrizzare la macchina europea”.
Un tema che, però, non viene colto appieno nemmeno dall’europeista Letta. Che pure mette sul tavolo 5 punti: “rendere permanente il Next Generation Eu, trasformare il Patto di Stabilità in patto di Sostenibilità, armonizzare - adesso che non c’è più l’opposizione dei britannici - le imposizioni fiscali, classificare il debito maturato dagli Stati a causa del Covid e superare i veti sulle grandi questioni”.
L'affondo politico del neo segretario del Pd verso Salvini è sottile. Letta più volte mette l’accento sull’“evoluzione della Lega e del M5s sulla questione europea. Oggi”, dichiara, “entrambi sostengono il governo Draghi, il più europeista che ci sia mai stato”. E più lo dice, più rimarca in qualche modo la coerenza del Pd. “Se Salvini afferma ‘sono pronto a lottare per avere l'Europa della salute e senza veti in politica estera’ non sto a sindacare la rapidità del cambiamento”, puntualizza ancora, “ma prendo il dato positivo”. La stoccata, che più innervosisce il capo di via Bellerio, arriva però subito dopo. “Se un giorno la Lega si avvicinasse al Ppe sarei contento. Non entro nei cambiamenti e nella inversione a U che questo rappresenta. Ma nel mondo che ci ha descritto” il segretario leghista “e che ci vede così piccoli, l’unica è stare insieme per giocarsela con potenze come Usa e Cina. Sono sovranista anch’io, ma un sovranista europeo”.
Il barometro è sintonizzato sul botta e riposta. Schermaglie politiche attutite da un artificiale aplomb diplomatic che i protagonisti mantengono in nome dell’alleanza di governo. “Se ci leviamo le etichette dalla giacca magari qualcosa la costruiamo”, replica però un sarcastico Salvini. Che non manda giù l’invasione di campo sulle scelte che riguardano il Parlamento europeo. “Letta dice che se la Lega entra nel Ppe è una buona cosa. Ma se si devono dare patenti di democrazia, non si fa un buon servizio”.