
Dell’udienza delle ultime ore, a Palazzo di giustizia al Cairo, c’è solo una foto, sgranata, nella quale si riconosce la sagoma di Patrick Zaki, ammanettato. Secondo i suoi legali “è in pessimo stato psicologico”. Per questo ne è stata chiesta nuovamente la scarcerazione, ma senza ottenerla.
L’udienza davanti ai giudici egiziani si è tenuta in anticipo rispetto alla scadenza dei 45 giorni di carcerazione che erano già stati rinnovati in occasione del precedente appuntamento in Tribunale, ma l’esito è stato identico. Lo studente egiziano, così, resta in cella a distanza ormai di 14 mesi dal suo arresto, al ritorno al Cairo da Bologna, dove studia all’università e da dove se ne chiede la liberazione.
I diplomatici chiedono un cambio di giuria
Patrick Zaki, dunque, resta ancora in carcere. I giudici hanno respinto l’ennesima richiesta di scarcerazione presentata dai suoi legali. Gli avvocati, però, hanno anche chiesto di sostituire la stessa giuria, “dopo aver constatato i numerosi rinnovi della sua carcerazione”. La decisione è attesa “domani o dopodomani”. La vera novità rispetto alle precedenti udienze, però, è che questa volta i diplomatici di Italia, Francia, Canada e Stati Uniti non hanno potuto assistere al dibattimento: la polizia, infatti, non ha permesso loro di entrare in aula, come invece era accaduto in precedenza, senza fornire una motivazione. “Vi sono stati problemi per la partecipazione degli stranieri anche dopo l’approvazione da parte del giudice a causa di un rifiuto della polizia” ha spiegato l’avvocato.
Il caso Zaki: a che punto siamo
Il 29enne, che seguiva un master europeo all’Università di Bologna, è stato arrestato il 7 febbraio 2020. Ora è definito in “pessimo stato psicologico” da uno dei suoi legali, Hoda Nasrallah. Come riferito dall’avvocato “Non c’è stato tempo per stargli vicino”, né per parlargli. Zaki è accusato di fra l’altro di propaganda sovversiva e istigazione al terrorismo sulla base di alcuni post su Facebook da un account che secondo i suoi legali non è il suo.
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“Come sempre le sensazioni nel giorno dell’udienza sono contrastati” ha commentato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, parlando con l’Ansa. “C’è la speranza che 14 mesi di detenzione possano bastare per giudicare Patrick innocente. C’è la sensazione di una imprevedibilità delle decisioni da parte della magistratura egiziana e c’è l’attesa, come sempre, di conoscere l’esito che come spesso accade non sarà contemporaneo alla fine dell’udienza. La speranza è sempre viva”.