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Il caso Super League

Flop Superlega. Giuliani: “Un patto basato su una montagna di debiti”

Per il giornalista esperto di calcio si è assistito a “dilettantismo senza precedenti e spregiudicatezza”: “Perez e Agnelli ne escono distrutti”. L’opinione

Flop Superlega. Giuliani: “Un patto basato su una montagna di debiti”

Quello della Super League europea o Superlega è un progetto nato e tramontato nell’arco di 48 ore, che ora lascia l’amaro in bocca a migliaia di tifosi, ma che ha anche creato un precedente illustre e una ferita difficile da rimarginare, almeno per alcuni club, in particole italiani. Dopo il passo indietro delle sei squadre inglesi, e la rinuncia dell’Inter, sono arrivate anche quelle di Milan e Juventus. Proprio il presidente bianconero Andrea Agnelli, solo poche ore prima di arrendersi di fronte al naufragio del progetto, si era detto sicuro di poter contare su un “patto di sangue” con gli alleati, pronti a ribellarsi all’Uefa.

Ma i fatti gli hanno dato torto, così come a Florentino Perez, numero uno della Super League e del Real Madrid. Ma qual era il vero obiettivo dell’operazione? Salvare quella che è stata definita la “sostenibilità finanziaria” dei club alle prese con gli effetti economici della pandemia? O un’operazione “genuina”, come l’hanno definita i vertici del Milan, per migliorare le competizioni europee. L’opinione di Fulvio Giuliani, giornalista esperto oltreché appassionato di calcio, voce storica della radio, e volto noto in tv e sui social.

 

 

Giuliani, siamo di fronte a un flop annunciato, un enorme errore di valutazione o una mossa comunque serviva per dare uno scossone al mondo del calcio?

Fulvio Giuliani: «Personalmente credo che i 12 club che avevano aderito inizialmente alla super League ci credessero davvero, il che rende ancora più surreale quanto accaduto. Il vero problema è il dilettantismo con cui si sono mossi, soprattutto considerando che stiamo parlando dei massimi dirigenti delle squadre più importanti dello sport più importante al mondo. E’ stato un errore strategico mostruoso. Ma dobbiamo renderci contro che stiamo parlando di un’operazione di business che con lo sport vero c’entra poco».

 

 

Prima il passo indietro delle inglesi, poi quello anche Inter e Milan, che nel comunicato parla di “genuina intenzione di creare la migliore possibile competizione Europea per i fan di tutto il mondo, per tutelare gli interessi del Club e della nostra tifoseria”. I rossoneri ribadiscono che “Il cambiamento non è facile, ma l'evoluzione è necessaria per progredire". C’è davvero bisogno di un cambiamento?

Fulvio Giuliani: «C’è tantissimo da cambiare. Pur ribadendo che il progetto Super League è sembrato più simile a un’operazione che neanche le associazioni carbonare di metà 800 avrebbero potuto organizzare, è chiaro che il sistema ha bisogno di cambiamenti. Sia la Fifa che l’Uefa non hanno certo brillato fino ad oggi in termini di organizzazione né di gestione dei proventi, senza contare che non hanno saputo prevenire molti dei problemi del calcio. Il paradosso è che adesso appaiono come i paladini di questo mondo, come coloro che sono vicini ai tifosi, tanto da essersi permessi il lusso di riaccogliere i club “ribelli” come fossero un figliol prodigo. Tutti, a dire il vero, tranne la Juventus, perché Andrea Agnelli ha dimostrato di essersi comportamento in modo sleale, tanto da essere definito “serpente” da Aleksander Ceferin, presidente dell’Uefa».

 

 

Hanno vinto i tifosi?

Fulvio Giuliani: «In qualche modo sì, anche se bisogna essere realisti. Io mi considero un vecchio romantico che crede nei valori dello sport e del calcio, ma non dobbiamo illuderci che la Superlega sia franata solo per le proteste dei tifosi di Chelsea e Liverpool. Queste erano state messe in conto, mentre ho la sensazione che i club della Super League non si aspettassero un’opposizione netta da parte dei padroni del calcio e del mondo politico, come è accaduto con le parole di Mario Draghi, di Emmanuel Macron, di Boris Jhonson e dei vertici europei».

 

 

Perché è accaduto?

Fulvio Giuliani: «Perché il calcio, che pure è lo sport più popolare al mondo, in Europa muove tali e tanti interessi sociali ed economici, che nessun politico si sarebbe potuto permettere di assistere a questa rivoluzione senza intervenire: sarebbe stato bollato come “amico dei ricconi”, per di più scalacquatori, perché stiamo parlando di club importanti, ma economicamente disastrati».

 

Anche la Juventus alla fine ha fatto marcia indietro, crollando poi in Borsa e nonostante il Presidente, Andrea Agnelli, in un'intervista a Repubblica si era detto intenzionato ad andare avanti perché tra i club che vi avevano aderito "c'è un patto di sangue". Insomma, senza le inglesi non se ne fa nulla?

Fulvio Giuliani: «Non credo che pensasse davvero a un “patto di sangue”. Quelle parole sembravano dettate soprattutto dalla disperazione del momento. Più che un patto di sangue, mi sembra che si sia trattato di un patto basato su una montagna di debiti. Credevano di uscire dalla crisi grazie a sponsor importanti e diritti tv, ma hanno fatto un calcolo errato. Chi ha commesso l’errore maggiore è forse proprio Andrea Agnelli, non a caso ora considerato un doppiogichista: fino a venerdì discuteva di Champions League e al sabato era tra i fondatori della Superlega».

 

 

Giuliani, alla luce anche dei tempi e dei modi, le italiane secondo molti sono state “timide” o troppo lente e silenziose anche nell’uscire dal progetto. Per esempio, non si sono scusate con i tifosi come ha fatto il Liverpool. Ci sono stati errori di comunicazione, anche con i tifosi?

Fulvio Giuliani: «Penso di sì, anche se a loro modo anche i club inglesi hanno mandato avanti Perez fino all’ultimo. Sono state furbe, però, e tatticamente capaci nel cogliere quando il vento è cambiato, sganciandosi. Le italiane, invece, sono apparse più pavide, specie Milan e Inter. E’ vero che nel Regno Unito i tifosi si sono ribellati, mentre da noi hanno manifestato la propria contrarietà solo sul web. Ma questo dipende anche dal fatto che da noi ormai si va meno allo stadio. Non a caso in Germania, dove i tifosi sono all’interno di molti assetti societari, nessuna squadra ha aderito alla Super League. Il Barcellona, che ha nei tifosi una quota importante di azionariato, ci ha provato, ma perché ha 1 miliardi di debiti».

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