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Il retroscena

Israele-Hamas, Pastori: “Scorciatoia militare a problemi interni”

L’esperto analizza i veri motivi dell’escalation militare, il ruolo di Iran e Turchia. “Gli Usa tentano di tornare super partes. Resta il nodo dell’Onu”

Israele-Hamas, Pastori: “Scorciatoia militare a problemi interni”

Non si ferma l’escalation di violenza in Israele, dove ormai non si esita a parlare di guerra tra le forze militari di Tel Aviv e gli attacchi da parte di Hamas, il braccio armato dei palestinesi, che dalla Striscia di Gaza prosegue con il lancio di missili.

 

Finora sono caduti nel vuoto gli appelli della comunità internazionale per la fine delle ostilità, mentre cresce il bilancio di vittime e feriti. La Procuratrice capo della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, teme possibili crimini contro l'umanità. 
 

Le tensioni sono nate a Gerusalemme, prima in occasione delle proteste contro le misure anti-assembramento durante il ramadan, poi per impedire l’esecuzione dello sfratto nei confronti di 4 famiglie arabe nel quartiere di Gerusalemme est, che occupavano case e terreni rivendicati da cittadini israeliani. Sul caso era attesa una sentenza del Tribunale, ora sospesa.

Ma sono davvero questi i motivi dello scontro? Risponde Gianluca Pastori, docente di Storia delle relazioni tra il Nord America e l’Europa, presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica di Milano.

 

Professore, si ha la sensazione che i motivi di questo scontro siano soprattutto un pretesto. E’ così?

Gianluca Pastori: «Sono una miccia che ha fatto scoppiare una bomba, ormai innescata da molto tempo. Quello che stiamo vedendo è l’ennesima dimostrazione di una guerra a bassa intensità dovuta all’incapacità di trovare una soluzione reale alla coesistenza tra Israele e l’Autorità palestinese. Ma non solo perché dietro all’escalation ci sono scontri interni. La guida palestinese da molti anni è bicefala, si contendono la leadership da un lato al-Fatah, che governa la West Bank e ha l’eredità dell’OLP, e dall’altro Hamas, che è diventato progressivamente un soggetto politico o parapolitico. Queste due entità sono impegnate in un confronto interno per accreditarsi come veri rappresentanti delle istanze palestinesi».

 

In tutto questo Israele che posizione ha?

Gianluca Pastori: «Israele non sta a guardare e fin dall’inizio ha sfruttato la rivalità delle due forze in campo e continua a farlo, a sua volta per nascondere una propria debolezza. Non dimentichiamo che da parecchi anni fatica a esprimere un governo stabile, alla guida ha coalizioni tendenzialmente conflittuali che non si propongono come interlocutore credibile per la controparte palestinese. In queste ore stiamo assistendo allo scontro tra due entità deboli che non riescono a giungere a un dialogo politico e ricorrono alla “scorciatoia militare” per riaffermare la loro presunta forza».

 

Intanto gli Usa hanno esortato a fermare gli scontri. Donald Trump, però, accusa Joe Biden di rimanere spettatore passivo. Che ruolo ha oggi Washington?

Gianluca Pastori: «Gli ultimi quattro anni ci hanno abituato a un’amministrazione statunitense molto schierata su posizioni di vicinanza a Israele, forse anche come reazione agli otto anni di Obama quando i rapporti tra Washington e Tel Aviv si erano molto deteriorati. Personalmente ritengo che Biden stia cercando di definire una politica di riequilibrio, presentando gli Usa come “onesto sensale”, come mediatore credibile non troppo sbilanciato verso l’una o l’altra parte. Questo è molto coerente con il profilo personale di Biden, sia rispetto a quando era vicepresidente e aveva moderato alcuni scatti in avanti di Obama, sia in quanto senatore, perché in questa veste aveva confermato una certa inclinazione americana di vicinanza a Israele, pur rimanendo convinto della necessità di essere equidistanti. Ora Biden sa che se gli Usa vogliono esercitare un’influenza vera devono apparire proprio super partes».

 

Perché gli Usa hanno fermato una risoluzione bipartisan, preferendo i negoziati bilaterali e informali?

Gianluca Pastori: «L’Onu per gli Stati Uniti oggi non sono un teatro facile: è vero che Biden sta cercando di rilanciare gli Usa come attore multilaterale, rientrando in molte organizzazioni sovranazionali, ma non si deve dimenticare che all’interno delle Nazioni Uniti Washington ha pochi amici e, soprattutto, ha due competitor molto forti, come Cina e Russia. Per questo è ragionevole che gli Usa cerchino di tenere la questione fuori dall’Onu».

 

Di fronte a questa situazione, cosa ne sarà dei Patti di Abramo, siglati pochi mesi fa tra Israele e alcuni paesi arabi?

Gianluca Pastori: «Al di là del valore simbolico della firma, lo scorso autunno, e del fatto che siano stati fortemente sostenuti dall’Amministrazione Trump, i Patti hanno ratificato un avvicinamento tra Israele e le monarchie del Golfo, quindi non c’è ragione di credere che possano risentire degli eventi recenti. L’unico rischio riguarda la questione iraniana, visto che erano stati concepiti da Trump anche in chiave iraniana. Se Biden vorrà realmente rilanciare il dialogo con Teheran, forse occorrerà una parziale modifica, ma è ancora presto per dirlo, perché l’Iran andrà a breve a elezioni e al momento il Parlamento è controllato dai conservatori».

 

C’è chi, dietro allo scontro Israele-Hamas, non dimentica neppure il ruolo della Turchia, che sta cercando di espandere la sua influenza nel Mediterraneo. Che interessi ha Ankara?

Gianluca Pastori: «E’ difficile dire quanto la Turchia sia coinvolta in quanto sta accadendo in Israele e nella Striscia di Gaza, ma sicuramente sta mostrando interesse per l’area. Non dimentichiamo che è stato uno dei grandi player nel teatro siriano, in cui anche Israele ha svolto la sua parte, anche se sotto traccia. In siria gli interessi di entrambe le parti sono stati a volte convergenti, a volte divergenti. Io credo che al momento si limiti a osservare la situazione, senza pensare a un coinvolgimento diretto».

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