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Etsy, colosso Usa delle vendite cheap, compra Depop per farsi più cool

La compravendita di tessuti e panni, nuovi e usati, è alla base di mezza storia economica nazionale, e all’origine delle fortune di Siena o Lucca.

Etsy, colosso Usa delle vendite cheap, compra Depop per farsi più cool

Etsy, colosso dell'e-commerce statunitense con base a Brooklyn, ha acquisito il marketplace della moda Depop, startup fondata nel 2011 dall'imprenditore italiano Simon Beckerman nell'incubatore di startup H-Farm di Treviso, per 1,63 miliardi di dollari. L'acquisizione sarà perfezionata entro il terzo trimestre del 2021, e la stampa italiana tutta ha gridato al miracolo, ha evocato unicorni (l’animale mitico viene chiamato in causa per le startup di valore superiore al miliardo, e Depop è la seconda), ha battuto le mani senza mai dolersi, neanche una volta sola, per la “fuga di cervelli e di idee”, per il “made in Italy” e la “genialità italiana” che finiscono “in mani straniere” e per tutte le altre baggianate che saltano fuori ogni qualvolta una mezza idea nazionale di qualche rilevanza trova qualcuno in grado di apprezzarla.

 

Depop è una grande idea nell’ambito di un settore in forte crescita, l’abbigliamento di seconda mano, e ha una marcia in più degli altri, perché è un marketplace peer-to-peer, tipo ebay anzi meglio: su Depop (sottobrand: “Compra, Vendi, Scopri, condividi”), i ragazzini infatti si scambiano, rivendono, trafficano in abiti, sneaker, accessori.

Etsy è invece una piattaforma parecchio cheap di artigianato senza pretese o paccottiglia di varia natura e ancor più varia provenienza. Ci siamo finite sopra un paio di volte mentre esploravamo il web a caccia di una panchetta per il giardino; tre mesi dopo ci tormenta ancora sul cellulare con valanghe di piatti maldipinti di ceramica ignota e sedioline di ferro battuto finto Belle Epoque. Per Etsy, Depop è certamente un salto di qualità sia in termini di target e di posizionamento sia di coolness: è frequentata dalla Generazione Z, è piena di osservazioni brillanti e di storie divertenti, ci si impara un sacco di cose sui gusti dei giovanissimi. Insomma, l’acquisizione ha molto senso. 

 

Eppure, oltre a scrivere che grazie a questa cessione “Depop diventa il secondo unicorno italiano, ovvero la seconda startup ad aver raggiunto una valore superiore al miliardo, e la prima in assoluto per valorizzazione in fase di exit”, nessuno ha intonato la solita lagna. Perché? Un po’ perché, certamente, il mondo delle App e del web non viene percepito come nazional-ista, come una realtà da difendere. Forse perché l’attività di Beckerman, anglo-italiano, nato a Milano, studi al Politecnico, fondatore della rivista di culto Pig, non viene considerata come artigianale, come produttiva. Forse chissà perché.

Eppure, in pochi paesi, più che in Italia, anche una certa crescita del sistema bancario e creditizio è legato al commercio di abiti e beni di seconda mano (un nome per tutti, il Monte dei Paschi di Siena) o di quell’attività parallela di sanzione che era la “bollatura delle vesti” quattrocentesca (in estrema sintesi: chi possedeva vesti di seta o pellicce di qualità superiore a quella consentita dal proprio status doveva pagare una multa a favore della comunità: un bel sistema di repressione dell’ascesa sociale). 

 

La compravendita di tessuti e panni, nuovi e usati, è alla base di mezza storia economica nazionale e non solo: non ancora oggetto di consumo, ma bene prezioso, l’abito e il “panno”, è all’origine delle fortune di Siena o Lucca, per esempio. Nel 2020 Depop ha transato un miliardo di articoli solo online, senza negozi o magazzini fisici, mettendo in contatto venditore e compratore, il core business aziendale. Più che “trafficare” direttamente con i panni, ha “generato traffico”, producendo miliardi di dati. Ma in estrema sintesi, il business è sempre lo stesso dei Chigi: generare traffico, gestire conoscenze e influenza.

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