
Era una corsa contro il tempo, non c’erano dubbi.
Una corsa a completare le operazioni di evacuazione il prima possibile, prima che potesse accadere il peggio, ossia un attentato.
Come invece è accaduto ora.
Il presidente statunitense, Joe Biden, nel confermare la data di fine della missione di rimpatrio dei militari americani, dei civili connazionali in Afghanistan e di coloro che avevano collaborato con gli enti occidentali e con il precedente governo di Kabul, non aveva nascosto il vero motivo: “Più a lungo rimaniamo, più aumenta il rischio”, aveva ammesso.
Il rischio ora è diventato realtà.
Lo ha fatto in un pomeriggio in cui, prima dell’esplosione da parte di un kamikaze nei pressi di un cancello di ingresso dello scalo di Kabul, si erano vissuti momenti di paura anche nel contingente italiano.
Intorno alle 14.00 ora italiana si è diffusa la voce di alcuni spari contro un aereo C-130 italiano.
Dai presunti spari al C-130 italiano all’attacco kamikaze
Secondo le prime informazioni, subito rimbalzate in Italia, un velivolo da carico, un C-130 dell’aeronautica italiana, sarebbe stato oggetto di alcuni colpi di arma da fuoco, prontamente “schivati” dalla pilota donna che era in partenza con il velivolo. A bordo c’erano alcuni giornalisti e 98 civili evacuati afghani.
Il C-130, che ha proseguito la propria rotta, era diretto alla base aerea di Al Salem, in Kuwait, da dove poi i passeggeri hanno proseguito per l'Italia con un KC767.
Non ci sono state conseguenze per l’equipaggio e i passeggeri, ma fonti di intelligence hanno poi chiarito che non ci sarebbero stati spari con il mezzo italiano, ma si sarebbe trattato di colpi di una mitragliatrice afghana, esplosi in aria per disperdere la folla che si stava accalcando al gate dell'aeroporto.
È invece un attentato da parte di un kamikaze quello accaduto poco dopo.
Attacco kamikaze. 007 britannici: “C’è dietro l’Isis”
Poco dopo l’episodio all’aereo italiano, un attentatore si è fatto esplodere nei pressi di un cancello d'ingresso dell’aeroporto di Kabul, provocando morti e feriti, soprattutto tra i militari statunitensi e britannici. Tra le vittime, però, anche diversi bambini.
L'attacco, come riferito da fonti della difesa britannica, sarebbe opera dell'Isis-K, ossia l’Islamic State della provincia afghana del Khorasan. È la stessa formazione a cui aveva fatto riferimento il Presidente Usa, Joe Biden, nel sollecitare che le operazioni di esfiltrazione dall’Afghanistan avvenissero il prima possibile e terminassero entro il 31 agosto, senza alcuna estensione.
Non a caso l’inquilino della Casa Bianca aveva detto, in occasione del G7: “L’ISIS-K sta cercando di prendere di mira l’aeroporto e attaccare le forze statunitensi e alleate e civili innocenti”.
Poco prima della dichiarazione di Biden, anche il Congresso era stato informato della decisione e, secondo le fonti dei media americani, si era tenuto una riunione a porte chiuse con i servizi segreti statunitensi e la Difesa, sottolineando l’elevato rischio di attacchi terroristici.
Il “pericolo attivo” già previsto
Il riferimento del Presidente Usa era, anche se non esplicito, a quello che viene in gergo definito il “pericolo attivo”, ossia una minaccia ben nota, in questo caso di attacchi terroristici. Un campanello di allarme era suonato quando era stato identificato un affiliato all’Isis tra gli evacuati, trasportati alla base di Al Udeid, in Qatar, e sottoposti a controlli.
A complicare la gestione dell’evacuazione, d’altra parte, non sono stati solo l’alto numero di persone da portare via dal Paese e il poco tempo a disposizione, ma anche alcuni fattori sul campo: primo tra tutti la folla che da giorni accalcava l’area, tanto che i talebani avevano anche chiesto aiuto alla Turchia per la gestione dello scalo.
Tutto ciò ha reso più facile il lavoro del kamikaze o dei kamikaze, nel mischiarsi alla gente sul posto.
Anche la scelta dell’obiettivo, però, ha valore simbolico fondamentale.
La scelta “simbolica” dello scalo
Il fatto di aver scelto l’aeroporto di Kabul non sembra casuale né dettata solo dalla relativa facilità di mettere a segno un attentato in quel luogo. Attaccare lo scalo, che da giorni è al centro delle attenzioni internazionali, ha avuto l’effetto di massimizzare ancora di più l’eco dell’evento. Non solo. In qualche modo si è dimostrata sia la fragilità dell’Occidente, che non ha saputo prevenire l’attentato né proteggere il proprio personale, sia l’incapacità dei talebani di avere il controllo della situazione, nonostante siano ora al potere.
Le operazioni “speciali” tenute sotto traccia
Gli analisti osservavano, fin dalle ore precedenti l’attacco a Kabul, il ricorso a operazioni speciali per prelevare direttamente sul territorio molti collaboratori o personale in posizioni “delicate”, evitando loro di raggiungere l’aeroporto. Dal canto loro, invece, i talebani avevano iniziato a dispiegare in posizioni tattiche, specie nella Capitale, i componenti della Badri 313, unità speciale dei Talibs.
Nato, “Ferma condanna”
Intanto, dopo l'attacco, è arrivata la condanna da parte della Nato, tramite un tweet del Segretario generale, Jens Stoltenberg: "Condanno fermamente l'orribile attacco terroristico fuori dall'aeroporto di Kabul. La nostra priorità resta quella di evacuare il maggior numero di persone in sicurezza, il più presto possibile". La corsa contro il tempo, dunque, continua.