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Elezioni del 3 e 4 ottobre

Comunali, la sfida per il Campidoglio che non appassiona i cittadini

Record di aspiranti sindaci e liste in una Capitale disincantata. L’esperienza Raggi pesa come un macigno in una metropoli alla ricerca disperata di futuro

Comunali, la sfida per il Campidoglio che non appassiona i cittadini

È uno strano scenario quello che si vive nella Capitale in queste settimane. A fronte delle 39 liste presentate e dei 22 candidati che corrono per il Campidoglio, con un record si aspiranti consiglieri comunali (circa 1.800), la città sembra partecipare poco alla campagna elettorale. La corsa per Palazzo Senatorio non appassiona i cittadini e, mai come questa volta, domina una sorta di disillusione generalizzata. L’esito del voto dei prossimi 3 e 4 ottobre resta a Roma una grande incognita. Mentre Milano, Bologna e Napoli, almeno secondo i sondaggisti, si avviano verso un netto vantaggio del centrosinistra. E anche a Torino si vanno definendo i numeri del duello tra il candidato del centrodestra, Paolo Damilano, e quello del centrosinistra, Stefano Lo Russo, la ‘città eterna’ fa i conti con un pre-elezioni incerto, poco coinvolgente, quasi noioso. 

 

È anche la pletora di candidati a creare disorientamento. Troppe liste, troppi nomi sconosciuti.

Alla fine chi ha maggiore visibilità è chi ha investito strategicamente su una comunicazione costosa ed efficace. Vedi Carlo Calenda di Azione (pur partendo da uno svantaggio evidente in termini numerici viene dato da Swg, sempre se riesca ad arrivarci, favorito in caso di ballottaggio) e i candidati del centrosinistra e del centrodestra, l’ex ministro dell’Economia del Pd Roberto Gualtieri secondo l’istituto triestino al secondo turno ci arriverebbe con percentuali tra il 25 e il 29%) e l’avvocato Enrico Michetti, fortemente voluto e sostenuto da Fratelli d’Italia (dato al ballottaggio tra il 30 e il 34%). Un discorso a parte merita la sindaca uscente, Virginia Raggi. Pur data in partenza come sconfitta, e fuori dalla corsa al primo turno, pare stia recuperando qualche percentuale nelle rilevazioni degli orientamenti di voto, complice la scelta strategica e scaltra di trasformare negli ultimi sei mesi la città in un cantiere permanente.

In ogni quartiere ci sono lavori in corso: vuoi per il manto stradale, vuoi per il rifacimento di marciapiedi o di strisce pedonali. Come a dare il segno di una ripartenza, mancata però in cinque anni di governo, nel corso dei quali la comunità cittadina ha vissuto un generale senso di abbandono, visto poche soluzioni ai problemi più impellenti, misurato l’incapacità a gestire una metropoli complessa come la Capitale. 

 

In ogni caso visibilità non significa capacità amministrativa. E aver fatto politica, persino partecipato a ruoli di governo, è cosa diversa dall’esperienza nelle amministrazioni. Perché tradurre le scelte di valore, a volte anche ideologiche, in risultati concreti a misura di cittadino, è compito paradossalmente più difficile. E richiede una conoscenza della macchina burocratica, del territorio e della comunità che lo abita che non tutti posseggono. Inoltre, una cosa è produrre decisioni dall’alto, altro è arrivare attraverso una partecipazione orizzontale agli indirizzi che spetta alla politica definire e alla burocrazia eseguire.

 

Considerando, tuttavia, la debolezza del potere politico che ha contraddistinto l’ultima consiliatura non c’è dubbio che quello di cui Roma ha bisogno sia anche una spinta decisionista, e un certo coraggio per riprendere in mano le redini dei numerosi problemi rimasti sul tappeto. Tradotto, significa progettare il futuro della Capitale d’Italia non per il quinquennio a venire, ma per i prossimi decenni. E darle la rilevanza nazionale che merita, farne il biglietto da visita dell’Italia nel mondo.  Per costruire una visione della città più importante del Paese parole, claim e manifesti elettorali serviranno a poco. E i cittadini per tornare a crederci hanno bisogno di molto, molto di più.

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