
Quello in corso sembra assumere le sembianze di un vero e proprio braccio di ferro, che vede contrapposti da un lato la Polonia e dall’altro l’Unione europea.
Il motivo è quello che viene definito un "conflitto insanabile" tra il diritto “costituzionale” di Bruxelles e quello di Varsavia.
Tutto nasce dal pronunciamento del Tribunale Costituzionale polacco, che ha dichiarato incompatibile proprio parte del trattato di adesione del Paese all’Ue.
Trattato Ue “incostituzionale” per la Polonia
Secondo la sentenza dei giudici di Varsavia, letta dalla presidente Julia Przylebska, "gli organismi dell'Unione Europea operano fuori dai limiti delle competenze concesse dalla Repubblica di Polonia e pertanto determinate disposizioni del trattato di adesione sono incostituzionali". Ad essere ritneuti incostituzionali sono l'articolo 1, primo e secondo paragrafo, e l'articolo 4, sezione 3, del Trattato di adesione.
A presentare ricorso era stato il premier polacco, Mateusz Morawiecki, che aveva fatto riferimento ad "ampi e ragionevoli dubbi" sulla prevalenza del diritto comunitario sulla Costituzione polacca.
Ora i giudici – cone 3 “sì” e 2 “no”, hanno accolto il rilievo.
Nel pronunciamento si legge anche che "il tentativo di interferire nell'ordinamento giudiziario polacco da parte della Corte di Giustizia dell'Unione Europea viola i principi dello Stato di diritto, il principio di supremazia della Costituzione e il principio di conservazione della sovranità nel processo di integrazione europea".
Nessun delega a Bruxelles e rischio Polexit
Quello che si profila è uno scenario da “Polexit” (definizione che richiama la “Brexit”), perché secondo la Consulta di Varsavia la Polonia non ha delegato alcun ambito giudiziario all’Ue e le sentenze della Corte di Giustizia europea non sono quindi al di sopra di quelle nazionali. Non solo: alcune potrebbero (e sono) in contrapposizione con quanto previsti dalla Costituzione polacca quindi, in caso siano applicate, farebbero venire meno la sovranità legale nazionale. Come rimarcato da Przylebska, "Nessuna autorità della Repubblica di Polonia può permettere che ciò accada".
I Paesi che chiedono soldi per i muri anti-migranti
L’altra tegola per l’Europa è rappresentata dalla richiesta, giunta alla Commissione europea, da 12 Paesi tramite i loro ministri degli Interni, di finanziare la costruzione di muri al confine per bloccare l'ingresso di migranti irregolari. Nella lettera si scrive che l’Europa “ha bisogno di adeguare il quadro giuridico esistente alle nuove realtà”, come la “strumentalizzazione dell'immigrazione clandestina”, che si starebbe verificando al confine con la Bielorussia.
A firmare sono Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia e Slovacchia.
A non aderire alla richiesta, invece, ci sono l’Italia con il ministro Lamorgese, Germania, Francia, Spagna e altri Paesi che accolgono un consistente numero di richiedenti asilo.
“Le barriere fisiche sono efficaci”
“Le barriere fisiche – scrivono i responsabili dell’Interno - sembrano essere un'efficace misura di protezione che serve gli interessi dell'intera Ue, non solo dei Paesi membri di primo arrivo”. Poi nel documento si aggiunge che “questa misura legittima dovrebbe essere finanziata in modo aggiuntivo ed adeguato attraverso il bilancio Ue come questione urgente”. “La sorveglianza delle frontiere in vigore - hanno sottolineato i ministri - non impedisce alle persone di tentare l’attraversamento illegale delle frontiere e sarebbe quindi utile integrarla con ulteriori misure preventive”, in riferimento proprio ai muri o barriere di filo spinato, che sono già numerosi in Europa.
La richiesta dei 12 Paesi arriva dopo la diffusione di video (ma anche articoli di carta stampata) che testimonierebbero il ricorso alla violenza da parte delle forze di polizia di alcuni Stati, nei confronti dei migranti lungo la rotta balcanica.
Violenze e sicurezza
La lettera, lunga quattro pagine, chiede anche “salvaguardie nel diritto dell'Ue che consentano agli Stati membri di agire rapidamente e proporzionalmente alla minaccia, in difesa della loro sicurezza nazionale e dell'intera Ue”. I destinatari della richiesta sono la vicepresidente della Commissione europea, Margaritis Schinas, e la commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson.