La recensione

Zlatan Ibrahimovic, vita da leggenda: il film della punta rossonera

È delirio per il film su Zlatan Ibrahimovic uscito qualche giorno fa anche in Italia. La storia di un campione che va contro tutti per inseguire un sogno

Zlatan Ibrahimovic, vita da leggenda: il film della punta rossonera

Zlatan Ibrahimovic non è solo il nome di uno dei calciatori più forti e emblematici della storia. È anche il simbolo di chi lotta, sognando, di chi non ha nulla e di chi rinuncia anche ai piccoli treni che la vita concede, per dedicarsi unicamente all’amore per uno sport. Ha quell'arroganza (buona) di chi vuole portare la ragione contro le ingiustizie ed è sempre pronto a farsi grande in mezzo ai quei giganti, che tentano di ostacolare o di divorare chi, sulla carta, non ce la farà mai. Zlatan è tutto questo, un esempio non solo per il mondo del football, ma anche per tutti quegli adolescenti che non si arrendono mai, anche in mezzo ad una tempesta di difficoltà. 

 

È riuscito a dominare ovunque sia andato, mettendo in discussione anche chi credeva di essere superiore a lui. Dalla rinascita all’Ajax, unica squadra a voler dargli un trampolino di lancio malgrado il suo carattere difficile, sino all’amore con l’Italia, un paese in cui è riuscito a vincere sia in bianconero sia nelle due fazioni di Milano. All’età di quarant’anni, dopo essere stato sommerso dalle critiche per il suo atteggiamento difficile, riesce ancora a fare la differenza, risultando il migliore anche in “extra-age”.

 

Ha messo da parte la grandezza di Messi a Barcellona, ha dato una vita al PSG, che ai tempi era solo una realtà ricca, ma dalle poche ambizioni. Tra i capocannonieri in Premier League, con il peggior Manchester United della storia, a eroe d’America con il L.A. Galaxy, in cui esordì siglando una delle reti più belle della sua vita. Una sorpresa infinita, che ha un inizio difficile, raccontata nel film Zlatan, uscito da pochi giorni in tutte le sale cinematografiche italiane, raccogliendo un boom di successo, viste le tante richieste da parte del pubblico di poter scoprire chi si nasconde realmente, dietro quella scultura di certezze.

 

Il film di Zlatan Ibrahimovic:

La costruzione di un campione spesso non passa solo dalle sue imprese mitiche sul campo, ma piuttosto dal frigo vuoto, dalle biciclette rubate, dai campetti polverosi, dalle tutte sformate e indossate come unico capo d'abbigliamento, da una vecchia macchina che non parte mai e da un balconcino nella periferia svedese di Rosengard, dove fermarsi a guardare la notte oltre i palazzoni, stringendo un pallone tra le mani.

 

Zlatan, il film di Jens Sjogren, presentato alla Festa del Cinema di Roma e ora nelle sale, è tutto questo, e anche di più. Raccontare un campione come Zlatan Ibrahimovic non è facile soprattutto perché essendo ancora vivo e vegeto, non se ne può fare un santino da presepe, né a Pietro Castellitto che è più Totti di Totti, nel bene e nel paradossale. Sarebbe troppo facile cadere nella trappola dell'eroe che risorge dopo un'infanzia difficile, con tutti i cliché che il cinema ci ha già propinato mille volte. E anche se il regista svedese è abituato ahimè a questi stereotipi, tuttavia riesce a superarli mostrando qualcosa di inedito, che potrà commuovere anche chi non è un fan sfegatato dello “zingaro”. Quel qualcosa è un bambino (raccontato dagli 11 ai 13 anni) e poi un ragazzo (seguito dai 17 ai 23) che non è affatto convinto di essere il migliore, che nasconde le sue mille paure dietro alla rabbia e alla prepotenza.

È arrogante e fragile, instabile e nello stesso tempo granitico. Zlatan vuol dire “oro”, dice il padre alla preside, che lo ha convocato per redarguirlo per l'ennesima volta sul comportamento del figlio. E quest'oro arriverà a scintillare, come tutti sappiamo, ma ci vorrà tempo. Dolore, fallimenti, delusioni. La vita di Ibra vista al cinema è una scalata, non tanto per la sua infanzia difficile (sia Maradona, che Ronaldo non avevano certo frequentato Eton), ma perché lui dentro ha qualcosa che lo frena.

 

È Zlatan a fermare Zlatan. La sua pigrizia negli allenamenti quando arriva all'Ajax, (con quella ridicola fascia da tennis a fermare i capelli lunghi forse per scimmiottare l'altro svedese entrato nel mito, Bjorn Borg), gli verrà contestata anche dai media. L'arroganza con il mister e i compagni che gli chiedono di passare la palla anche a loro, ma lui risponde che tanto l'avrebbero persa, il disprezzo delle regole sempre e comunque, a scuola come sul campo.

 

Zlatan combatte la sua voragine emotiva. Qualcosa che si intuisce, qualcosa che il campione si porta da tanto tempo dentro. I genitori, mamma croata papà bosniaco, si separano. Lui e la sorella vengono affidati al padre (la figura più bella del film), mentre il fratello più piccolo (morto poi di leucemia a soli 41 anni) rimane con la madre. La donna fa le pulizie, il padre non ha mai soldi, beve e si addormenta davanti alla televisione, mentre scorrono le drammatiche immagini della guerra in Jugoslavia.

 

Il frigo è sempre vuoto e di ritorno dagli allenamenti lui ha fame e non trova niente da mangiare. Arrivato dai campetti fino a una vera squadra il Malmo BI la cosa che gli riesce meglio è dare una testata e spaccare il naso a un compagno, poi rubare la bici nuova del mister e finire così in panchina per tutta la stagione. Eppure quella forza che ha dentro riesce sempre a riportarlo in alto. Al fratellino dice che quando vieni da Rosengard, periferia di immigrazione, devi lottare per tutto. E lui lottando arriva fino a Mino Raiola, il procuratore sportivo delle star, (anche lui con una vita straordinaria che meriterebbe altro che un film). L'incontro è in un ristorante orientale, dove riesce ad arrivare in ritardo. E ancora una volta ecco l'arroganza di chi sa che con la vita può giocare, perché in fondo è “un bambino d'oro”.

 

Raiola lo propone a Luciano Moggi. La Juve è un sogno, una chimera. Prima è un no. Davanti all'incredibile gol fatto al NAC Breda, Moggi ci ripensa al volo. Il film finisce qui, regalandoci nei minuti finali vecchi filmati con le sue incredibili imprese. Il resto è Storia del calcio. Ma quello che resta è un bambino dallo sguardo duro, che con l'amico ruba le figurine degli Europei del '92 per cercare il suo calciatore preferito: Van Basten. E la sera si mette su un divano sfondato a guardare una vecchia videocassetta dei combattimenti di Muhammad Ali.

 

“Vola come una farfalla e pungi come un'ape”, gli ripete il padre. E Zlatan sul campo vola, balla, grazie anche al suo amore per Bruce Lee, le arti marziali e il taekwondo che pratica con passione. Il film scorre lento con quella melanconia da Nord Europa, l'attore che interpreta il bambino (Dominic Bajraktari Andersson) convince più di Zlatan adolescente (Granit Rushiti)), forse troppo ripulito.

 

Al piccolo Zlatan viene affidata la scena, che a nostro giudizio, è la più commovente del biopic. Arrivato a casa del padre non trova il letto, così si dirigono all'Ikea per comprarne uno nuovo. Ma il padre ha i soldi contati e non si può permettere la consegna a casa, così tornano insieme a piedi, il padre con il materasso sulle spalle e Ibra con lo scatolone dell'Ikea tra le braccia. Stanchi, buttano il materasso per terra e si sdraiano sopra insieme. Il bambino chiede al padre se potranno ordinare una pizza. La costruzione di un campione passa anche attraverso un materasso da mille corone e una pizza in una scatola di cartone.

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