Il peso di Draghi e l’attuale debolezza di Macron

Il Trattato riequilibrerà gli investimenti finanziari Italia-Francia?

Sinora banche, assicurazioni e moda sono state prede di Parigi. E oggi sono in ballo interessi forti, da Leonardo a Eni, alla delicata partita Tim

Il Trattato riequilibrerà gli investimenti finanziari Italia-Francia?

Se il valore politico del Trattato tra Italia e Francia nell’attuale quadro politico europeo ed internazionale è chiaro e forte, non altrettanto chiare sono le sue ricadute concrete sulle partite industriali tra i due paesi, che sono tante, a cominciare dalla questione più calda di tutte, lo scontro tra Vivendi e il fondo americano Kkr per il controllo di Tim. Ma il tema è fondamentale perchè troppe sono le partite aperte, oltre al controllo di Tim, a cominciare da Leonardo, Eni, banche e assicurazioni e industrie dello spazio.

 

Sull’Opa “amichevole” che sta scaldando la Borsa, Giulio Sapelli (che è stato a lungo nel consiglio dell’Eni, che spesso in Africa si è confrontata con Total, tra l’altro seduto al fianco di Mario Draghi con cui scambiava non soltanto consigli di dieta) ritiene che un eventuale accordo tra i francesi e gli americani servirebbe a stabilizzare Telecom e verrebbe benedetto dal governo, che così potrebbe ben conciliare le buone relazioni con gli Stati Uniti con la firma del Trattato con Parigi. Giovedì Draghi e Macron firmano il Trattato, venerdì si tiene il Cda di Tim, dove Luigi Gubitosi rischia di essere sfiduciato dal francese Vincent Bollorè e diventare la prima vittima del Trattato, se nel frattempo lui stesso non riesce a fare da ponte tra Vivendi e Kkr. Tra l’altro, il capo di Vivendi (padrone di Havas e di testate come Paris Match e Le Journal du dimanche) alle elezioni francesi non è certo un sostenitore di Macron ma dell’antagonista che sembra più lanciato, Eric Zemmour.

 

Il Trattato ovviamente non disciplina certo le singole questioni concrete, ma il non detto dovrà essere uno solo: il riequilibrio degli investimenti finanziari e industriali tra i due Paesi, sinora pesantemente sbilanciato a favore della Francia. Sinora il rapporto non è stato affatto paritario, vedi le vicende della Fincantieri oltralpe. In Italia invece la presa parigina è forte e comincia da banche e assicurazioni: l’Unicredit di Mustier ha venduto Pioneer ad Amundi e si è mossa sempre in chiave filo-francese, Mediobanca si appoggia da vent’anni a maggioranze francesi (ora insidiate da Del Vecchio), Generali (partita importante come e più di Tim) è gestita dal francese Philippe Donnet, contestato dagli azionisti Leonardo Del Vecchio e Franco Caltagirone, Bnl si chiama Bnl-Paribas e concede prestiti solo a condizioni standard decise in Francia, il Credit Agricole progetta di prendersi Carige.

Sul fronte strettamente industriale Parmalat è di Lactalis e venne ceduta anche con molta liquidità in pancia, mentre i migliori marchi della moda sono da tempo preda dei colossi parigini del lusso. Senza dimenticare Fiat, di fatto acquisita da Peugeot, ed Edison di proprietà di Edf.

 

Il Trattato inizialmente venne negoziato dal governo Conte, oggettivamente più debole dell’attuale, e magari serviva di più a Macron per consolidare la sua presa italiana. Draghi alla firma dell’accordo di certo spenderà le parole che servono sul ruolo paritario dei contraenti, quindi metterà il suo peso insieme alla firma, e poi resta solo da non  dimenticarsi che il diavolo è nei dettagli. Ma certo Tim oggi è la prima cartina di tornasole per capire a chi giova di più un Trattato che, se gestito davvero paritariamente, potrebbe essere uno degli strumenti chiave per un più incisivo ruolo dell’Italia in Europa e nel Mediterraneo. Francesco Scisci, sinologo con trent’anni di esperienza a Pechino, sul Sussidiario ha paragonato il Trattato al patto tra Germania e Francia del 1963, allora benedetto dagli Stati Uniti, sia pure in un quadro diverso quando la contrapposizione con l’Unione Sovietica era fortissima, ma ha sollevato dubbi sulla capacità dell’Italia di reggere il confronto con le strutture amministrative e politiche francesi. E, aggiungiamo noi, anche e soprattutto nelle partite industriali e finanziarie.

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