
Ora che a ranghi serrati la manovra di Bilancio è stata approvata – stanotte era già intervenuto il sì della Camera dei deputati alla fiducia posta dal governo - si apre la fase più delicata della legislatura in corso. Nonostante i diversi appelli a mantenere l’unità nazionale che sostiene il governo di emergenza guidato da Mario Draghi, il giro di boa arrivato con la conclusione dell’iter parlamentare della legge potrebbe rappresentare una sorta di ‘tana libera tutti’. In cui i partiti, emancipati da scadenze improrogabili, possono fare il proprio gioco in vista dell’elezione del successore di Sergio Mattarella.
Il sostanziale ‘obbligo’ di portare a casa la manovra, il provvedimento più importante di politica economica e di indirizzo di ogni governo in carica, scongiurando il rischio dell’esercizio provvisorio, è stato un collante di estrema utilità in questo scorcio di fine anno per i partiti di coalizione. Che adesso però hanno tutta l’intenzione di riprendersi l’autonomia perduta che il premier in questi dieci mesi, con la sua solidità e autorevolezza, ha contribuito ad appannare. Potremmo dire che davvero adesso la partita del Quirinale entra nel vivo. Tra pochissimi giorni, con ogni probabilità il 4 gennaio, il presidente della Camera, Roberto Fico, convocherà il Parlamento in seduta comune (Senato e Camera più tre rappresentanti per ciascun Consiglio regionale, uno per la Valle d’Aosta). La prima seduta dovrebbe tenersi intorno al 24 gennaio. Per allora – e nella speranza che si allontani lo spettro di un voto da remoto per via del salto della curva pandemica – un’idea sul da farsi i gruppi parlamentari dovranno averla.
A destra la candidatura del pervicace Silvio Berlusconi crea per il momento non pochi problemi e potrebbe davvero essere più divisiva di quanto si immagini. Prenderla sotto gamba per gli alleati del Cavaliere sarebbe controproducente. Sia perché se il fondatore di Mediaset insistesse sulla strada intrapresa, e con lui i forzisti e i centristi (qualcuno anche del campo ‘avverso’), Salvini e Meloni si precluderebbero la possibilità di un dialogo col centrosinistra. E sia perché l’ipotesi - qualora il nome arrivasse davvero in Aula - complicherebbe non di poco la possibilità di un accordo a breve, spostando in avanti lo scrutinio decisivo e alimentando le tentazioni dei franchi tiratori. Inoltre, inevitabilmente, il Pd sarebbe costretto ad una contromossa con una candidatura di bandiera, che non è detto trovi consenso tra le anime dei Cinque Stelle. Ancora dilaniati da lotte intestine, ma pur sempre partito di maggioranza relativa in Parlamento.
La minaccia di un voto che potrebbe protrarsi troppo in là – per il presidente Leone ci vollero 23 scrutini prima della sua elezione – non sarebbe un buon segno, né per la maggioranza attuale, né in generale per lo spirito di unità nazionale che in una fase così delicata - in cui il virus accelera nuovamente e minaccia la ripresa - necessita ancora. Il lavoro fatto sinora sul sistema-Paese deve esser completato. Il presidente del Consiglio ha fatto intendere chiaramente di essere disponile a servire le istituzioni dal Colle nella convinzione che “le basi perché il governo continui ad operare chiunque ci sia a capo” sono state gettate. Ma è inutile nasconderlo: Draghi in questi mesi più di qualche nemico tra i partiti - pur non volendo - se lo è fatto. E a più di qualcuno la sua supervisione, seppure dal Quirinale, potrebbe non piacere.
Il pericolo vero è una sorta di ‘rivincita’ che potrebbe animare alcune forze politiche o singoli uomini di partito dopo essere stati tacitati dalla fase emergenziale e dalle sue conseguenze. Una ostentazione di potere politico che si spera non prenda il sopravvento con giochi inutili e dannosi volti solo a salvaguardare le proprie posizioni. Sarebbe preferibile che tutti coloro chiamati ad eleggere il prossimo inquilino del Quirinale trovassero piuttosto una sintesi avvicinandosi al concetto guicciardiniano di ‘particulare’, in cui il proprio interesse può corrispondere – nobilitandosi – alla capacità di agire a favore dello Stato.