
Ora che la Germania un governo ce l’ha sono due le incognite che nei primi mesi del 2022 accompagneranno la politica dell’Ue. Da un lato, l’elezione in Italia del nuovo presidente della Repubblica e l’eventuale cambio della guardia a Palazzo Chigi, qualora fosse Mario Draghi a salire al Colle. Dall’altro, le elezioni presidenziali francesi che già lasciano prefigurare una campagna elettorale molto accesa e che non consente di dare nulla per scontato. Tanto meno l’eventuale bis di Emmanuel Macron all’Eliseo. Due incognite, come dicevano, di un certo rilievo. Sia perché Italia e Francia hanno avuto nell’ultimo anno e mezzo un ruolo decisivo nelle scelte delle più alte istituzioni di Bruxelles per gestire lo choc della pandemia. Peraltro, ricordiamo che il legame tra i due Paesi è andato rafforzandosi progressivamente fino alla firma del Trattato del Quirinale lo scorso novembre. Sia perché sarà la Francia da domani, 1 gennaio, ad essere presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, con tutto quello che ne consegue per il ruolo e gli input che saprà dare in seno ai Ventisette.
Questo 2021 ha segnato per l’Ue un punto di svolta che non si registrava da almeno venti anni e l’arrivo sulla scena di fatti assolutamente inediti. Le cui basi sono state gettate nel 2020 con l’approvazione del Next Generation Eu da 750 miliardi di euro. Gli Stati Europei hanno dovuto elaborare i Piani Nazionali di Ripresa sottoposti al vaglio della Commissione guidata dalla presidente Ursula Von der Leyen per accedere alle prime tranches di fondi. La stessa Commissione per la prima volta nella storia dell’Ue ha emesso titoli di debito comune, i famigerati Eurobond, necessari per recuperare i 750 miliardi destinati alla ripresa e agli aiuti per i Paesi più colpiti. Di questi, una buona parte sono tuttora reperiti sul mercato grazie a consistenti pacchetti di Green bond che hanno fatto registrare un record di domande, superiori ad ogni più rosea aspettativa.
E poi c’è il tema più di attualità, che da mesi anche Eurogrupo ed Ecofin sanno di dover affrontare sotto un’ottica diversa: quello che riguarda le regole di Bilancio europee e il Patto di Stabilità e Crescita. La sospensione ancora in vigore di quest’ultimo e la necessità dei singoli Stati di affrontare l’emergenza ricorrendo a ulteriore debito, ha segnato un punto di non ritorno. Convinzione diffusa, ma non di tutti i membri Ue, è che sia arrivato il momento di modificare gli accordi. Il Covid, la recessione, il rischio default di alcuni Stati, hanno impresso un’accelerazione di portata straordinaria. Le ‘vecchie’ regole e il tetto nel rapporto debito-Pil e deficit-Pil non rispondono più a un quadro economico-finanziario mutato e che continuerà a evolversi.
Nuovi problemi si sono prefigurati all’orizzonte: difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, caro energia, incertezza e instabilità determinate dal virus che continua a correre con varianti sempre nuove. In questo anno - in cui è sotto gli occhi di tutti che solo la sospensione delle regole di stabilità e le politiche monetarie espansive della Bce hanno consentito di far fronte ai rischi persino di una depressione – la instabilità politica dell’Ue non aiuterebbe.
Sappiamo che Italia e Francia, forti della loro intesa, si muoveranno insieme sia nel Consiglio europeo che riunisce i capi di Stati e di governo che nelle istituzioni deliberanti. Ma molto finora è dipeso dai protagonisti in campo: Draghi in qualità di premier italiano, Macron come presidente francese. È auspicabile pensare che il nuovo asse Roma-Parigi rimarrà solido anche senza uno dei due o di entrambi. Italia e Francia spingono, con l’appoggio della Spagna, perché a Bruxelles si arrivi a un PSC innovativo in nome di una maggiore coesione e attenzione agli effetti sociali dell’austerity, che più che alimentare la crescita negli ultimi anni l’ha bloccata.
La Commissione ha già lanciato il dibattito e ora si attendono le mosse del nuovo governo di Berlino guidato da Olaf Scholz. Che tuttavia si fonda su una colazione non proprio omogenea. Sulle regole economiche conservatori e liberali potrebbero essere più vicini alle posizioni dei Frugali – Olanda e Austria in testa – che a quelle di Parigi e Roma. Un rischio che Italia e Francia è bene non corrano.