Quirinale e dintorni

Quarta giornata di voto: il passaggio di queste ore il più delicato

Non ci sarà fumata bianca ma i partiti si conteranno. Dopo la spallata della Meloni, Salvini perde il ruolo di king maker e punta a evitare lo scontro

Quarta giornata di voto: il passaggio di queste ore il più delicato

“L’astensione è per evitare scontri”. Così Matteo Salvini giustifica la decisione che riguarda il comportamento che il centrodestra terrà oggi in Aula, dopo la fragorosa spallata inferta ieri da Giorgia Meloni con il suo candidato di bandiera, Guido Crosetto, che ha portato a casa 114 voti. Il leader del Carroccio non sta tenendo i suoi. Il segnale giunto da Fratelli d’Italia è inequivocabile e davvero sei i contrasti dovessero permanere Salvini rischia perdere il controllo e di governare solo la pattuglia leghista, e forse nemmeno tutta. Da qui la mossa annunciata per la quarta chiama in corso a Montecitorio. Dove prima i senatori, poi i deputati ed, infine, i delegati regionali entreranno nelle grandi cabine allestite per il voto. Non però quelli del centrodestra, che senza ritirare la scheda si recheranno direttamente al banco della presidenza dichiarandosi astenuti. Questo, almeno, è l’ordine di scuderia e vedremo se il’ blocco’ reggerà al test dei numeri. Ma Salvini è arrabbiato e cerca di attutire il colpo: “Le prove di forza non ci interessano. La scelta dell’astensione è nata dalla necessità di evitare scontri. Non voglio un candidato di bandiera”, fa sapere a scrutinio iniziato.

 

Il leghista nella notte ha dovuto fare un passo indietro. Per non rischiare anche un’altra rottura, quella con il Pd, dopo l’aut aut di Enrico Letta che ha posto il suo veto sul nome della presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, candidata ‘forte’ fino a ieri per il segretario federale di via Bellerio. Oggi sembra cominciato un altro capitolo ma contrasti ce ne sono ancora. A Meloni non piace il nome di Pierferdinando Casini, che a dire il vero non riscuote grande favore nemmeno nel centrosinistra. Il Nazareno, almeno il suo segretario, continua a lavorare per Draghi al Quirinale, ma con due spine nel fianco: l’area dei franceschiniani, contrari all’idea che il premier possa salire sul Colle più alto, e il M5S. E’ Giuseppe Conte che sta dando diversi grattacapi a Letta e che però potrebbe avere meno consensi di quanti invece ne possa mettere in campo l’area disponibile a votare l’ex numero uno della Bce. Quella, per intenderci, che fa capo a Luigi Di Maio. Ma nessuno in questo momento, nemmeno il Pd, ha interesse a vedere i Cinque Stelle lacerati, non più di quanto lo siano già.

L’obiettivo è presentare in Aula l’asse Pd-5S e Leu più compatto possibile. Anche se i numeri non danno ragione alla coalizione giallorossa: 405 voti sulla carta. E persiste l’incognita Renzi, che con la sua piccola pattuglia di 44 parlamentari potrebbe dare una mano quanto meno a raggiungere la parità con il centrodestra (454 voti). Ammesso che anche questi ultimi mantengano l’unità.

 

 

 

È presumibile che anche oggi a Montecitorio ci sarà fumata nera ma i messaggi che arriveranno dalla votazione e dai numeri ci diranno se negli schieramenti le divisioni sono superate, oppure se continua sotto traccia una guerra logorante. Che rischia di far saltare quel buon senso e quello spirito di servizio che deve caratterizzare la scelta della prima carica dello Stato. La partita quirinalizia sta evidenziano forti limiti dei partiti presenti in Parlamento e non sappiamo ancora se saranno in grado di superare la prova di maturità che li attende. I giochi sono aperti, le trattative pure. E si spera davvero che prevalgano strategie per un’intesa che converga su un “profilo alto”, il migliore che ci sia.

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