
Giorgia Meloni non esclude un domani di correre da sola senza un patto ‘anti-inciucio’ e mette in guardia sul pericolo di un ritorno al proporzionale. Matteo Salvini, intanto, si pone l’obiettivo di “un anno” per ridare “orgoglio e dignità” al centrodestra, perché andare divisi alle prossime elezioni politiche significherebbe “far vincere le sinistre”. E respinge l’idea di un centro che oltre alle forze moderate del suo schieramento possa chiamare in causa un esponente dell’altro fronte come Matteo Renzi. Ma scricchiolii rispetto al progetto centrista si avvertono in casa, da parte di alcuni diretti interessati: Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia e fondatore insieme a Giovanni Toti, governatore della Liguria, di Coraggio Italia, frena le “fughe in avanti” sull’ipotesi di un grande centro con Italia Viva. Piuttosto pensa a una federazione “saldamente ancorata al centrodestra. Da lì provengo e lì intendo restare”, dice in un’intervista rilasciata al QN.
Da Forza Italia il coordinatore, Antonio Tajani, fa notare: “Andare verso esperimenti centristi con questo sistema elettorale significa andare verso il fallimento”. Quanti siano in linea con lui nel variegato mondo forzista è difficile a dirsi. La preoccupazione di Forza Italia in questo momento sembra più essere quella di ribadire il ruolo di possibile federatore di Silvio Berlusconi, anche se non è ancora chiaro se per mettere in moto il progetto di soli moderati o per ricostruire il centrodestra. Sono giorni in cui ognuno segue un’autonoma traiettoria e non si comprende più lo schema di gioco. Se il linguaggio non è chiaro, figuriamoci i progetti.
Nel campo opposto il problema principale resta quello delle divisioni interne ai Cinque Stelle. Dopo le dimissioni di Luigi Di Maio dal Comitato di Garanzia le polemiche non si attutiscono. Invano alcuni maggiorenti del Movimento cercano di sminuire la portata dello scontro agli occhi dell’opinione pubblica. Ma un progressivo smembramento è evidente e il rischio che possa irrimediabilmente portare a nuove sconfitte pure. A maggio si vota in più di mille comuni, tra un anno sarà il turno delle politiche.
In queste condizioni e dopo il flop delle ultime comunali i pentastellati giocano col fuoco. Ieri l’ex ministro delle politiche giovanili, Enzo Spadafora, durante un’intervista nel corso della trasmissione televisiva Mezz’ora in più, ha parlato della necessità di “un momento di chiarimento” e ha aggiunto: “non so se sarà un congresso o un’altra cosa ma non deve essere una occasione per cercare un capro espiatorio e coprire un momento di debolezza”. Spadafora difende il ministro degli Esteri: “la settimana” per l’elezione del capo dello Stato “ha svelato la fragilità di tutto il sistema politico e anche dei 5 Stelle. Io credo che Luigi Di Maio abbia fatto gesto di aiuto proprio al dibattito interno. Si è dimesso e ha cercato di dire 'favoriamo il confronto’.
Passano poche ore e il presidente dei 5S, Giuseppe Conte, dalle pagine del quotidiano La Stampa replica: nel “Movimento nessuno deve sentirsi indispensabile, nemmeno io. Ci saranno dei momenti di confronto dove potremo analizzare quanto successo, anche al fine di evitare che questi errori si ripetano. Né possiamo tollerare per il futuro guerre di logoramento interno”. Poi l’affondo: “la forza del Movimento è sempre stata quella di non cedere al correntismo della vecchia politica. Non potrò permettere che mentre prima si andava in piazza a fare battaglie civili e politiche, oggi si vada in piazza a palesare correnti. Quella mossa ha creato dolore e malumori nella nostra comunità. Anche per questo ho valutato come doverose le dimissioni di Di Maio dal comitato di garanzia”. Parole che non calmano affatto gli animi e che, anzi, evidenziano che il duello è frontale: la resa dei conti tra i due è solo all’inizio. E non è la sola grana: il Tribunale di Napoli ha sospeso oggi le delibere con cui ad agosto nel Movimento si è dato il via libera alla modifica dello Statuto e all’elezione dell’ex premier a presidente per “gravi vizi nel processo decisionale”.