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Contromanovre e dietrofront

Governo, cosa succede se Conte fa il Salvini della situazione

Gli attacchi al premier e la presa di distanza dal Partito democratico: il M5S marca le differenze e spera in un ritorno di fiamma del suo elettorato

Governo, cosa succede se Conte fa il Salvini della situazione

Doveva essere un pranzo di riappacificazione per riannodare il filo dell’alleanza tra Pd e M5S. Ma l’incontro tra Enrico Letta, segretario dem, e Giuseppe Conte, leader dei Cinque Stelle, non ha dato i risultati sperati. Le posizioni restano distanti e non solo sulla guerra e sull’aumento dei finanziamenti per la difesa. E’ evidente ormai anche al capo del Nazareno che l’avvocato si sta ritagliando il ruolo di picconatore del governo di Mario Draghi e che non intende tornare sui suoi passi per il tempo che resta di questa legislatura. C’è un cambio di paradigma politico rispetto alle posizioni del Pd, il partito che con Leu più sostiene l’inquilino di Palazzo Chigi, che cela sostanzialmente la speranza del pentastellato di un ritorno di fiamma con l’elettorato di riferimento. Anche per far dimenticare le spaccature che hanno animato, e animano ancora, il partito di maggioranza relativa.

 

Cosa accade se Conte fa il Salvini della situazione? Succede che lo scontro con il premier diventa giornaliero e diretto, e serve a marcare una differenza pur di riafferrare i temi cari al populismo. Nel braccio di ferro con Draghi il M5S contiano punta a ritrovare vigore e i temi in agenda sono ancora tanti per pensare che lo scontro non si riaccenda. Sicuramente i distinguo sulle spese per gli armamenti hanno segnato un punto di non ritorno nelle dinamiche della maggioranza. Draghi lo ha capito e ora anche Letta sarà costretto ad entrare in un nuovo ordine di idee. Siamo solo all’inizio della campagna elettorale per le amministrative del 12 giugno che segnerà fino a quella data il comportamento delle formazioni politiche nelle Aule parlamentari e nelle commissioni. Per non parlare della linea scelta relativamente alla comunicazione su media e social.   

 

Dunque, la guerra alle porte dell’Europa iniziata il 24 febbraio non sta cambiando solo i rapporti internazionali tra potenze globali. Ma è arrivata a gamba tesa anche rimescolare le carte di una politica nazionale confusa e da tempo recalcitrante nei confronti del premier. I tre grandi temi interni delle settimane a venire – giustizia, delega fiscale, concorrenza – saranno i prossimi campi di battaglia. Il rischio di ulteriori spaccature – Lega e Forza Italia sul fisco già fanno fronte comune – consegna all’estero un quadro scompaginato che è l’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno nel momento delicato che viviamo.

 

Al governo serve unità per avere capacità di incidere a Bruxelles e in tutti i consessi internazionali in cui la guerra e le conseguenze che si porta dietro restano drammaticamente la questione più urgente. Prendere le distanze come ha fatto la Lega di Salvini dall’espulsione dei trenta diplomatici russi dal nostro Paese è un segno di debolezza, che evidenzia che tipo di fase politica sia in corso. I partiti di maggioranza agiscono in ordine sparso, i progetti politici che fino a due mesi fa avevano speranza di realizzarsi, vedi il ‘campo largo’ del centrosinistra con i 5S, oggi sono più lontani. Anche a destra le alleanze scricchiolano, mentre rimane nell’ombra la partita della legge elettorale con cui nel 2023 dovremmo andare a votare. 

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