Finanza pubblica

Maggioranza vota il Def alla Camera, ma il nodo resta lo scostamento

Via libera alla risoluzione sul Documento di Economia e Finanza. Ma i partiti chiedono di più: nuove misure in deficit per sostenere famiglie e imprese

Maggioranza vota il Def alla Camera, ma il nodo resta lo scostamento

L’accordo nella maggioranza per il via libera alla risoluzione sul Def, il Documento di Economia e Finanza, ha tenuto. L’aula della Camera ha approvato con 412 voti favorevoli e 55 contrari l’atto di indirizzo nei confronti del governo. Ha inoltre accolto con 407 sì, 22 no e 36 astenuti, la relazione al Parlamento che aggiorna il piano di rientro del debito pubblico. Le fibrillazioni dei partiti che sostengono l’esecutivo di Mario Draghi, tuttavia, non sono terminate. Sul tavolo resta la questione dello scostamento di bilancio, ovvero della previsione di nuove risorse in deficit per affrontare le difficoltà di famiglie e imprese a seguito del caro energia. 

 

Il fronte sembra essere abbastanza compatto, fatta eccezione di Italia Viva, che è d’accordo con il premier nel considerare lo scostamento uno strumento che crea nuovo debito, senza risolvere i problemi che adesso riguardano il rallentamento della crescita. Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale sono arrivate come una doccia fredda e danno il Pil italiano per il 2022 e per il 2023 in calo dell’1,5 per cento. Le stime sono al di sotto di quelle del Mef. E se la crescita frena, diminuiscono le possibilità di una riduzione progressiva del debito a ritmo costante. Mario Draghi non ne vuole sapere di nuovo deficit, almeno questo è stato l’orientamento registrato ad oggi. Ma negli ultimi giorni anche il Pd, finora cauto rispetto alla possibilità di liberare nuove risorse ricorrendo a ulteriore indebitamento, si è mostrato possibilista. 

 

Di certo, pronti a dare battaglia sono i Cinque Stelle. “Il Def nell’aggiornamento delle previsioni di finanza pubblica, delinea una situazione meno favorevole rispetto a quella del settembre scorso. Bisogna intervenire subito”, dichiara il gruppo grillino in Commissione Bilancio della Camera. “Come M5S abbiamo proposto un’adeguata politica dei redditi volta a sostenere i redditi reali dei lavoratori, attraverso il sovvenzionamento di spese per energia, trasporti, casa, istruzione dei figli, avendo particolare riguardo ai redditi più bassi”. A favore dello scostamento si muove anche il centrodestra di governo. Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, e quello del Carroccio, Matteo Salvini, si sono ricompattati pure sulle riforme da approvare e legate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, a partire da quella fiscale. Dunque, i partiti sono in pressing su Palazzo Chigi per inserire i nuovi sostegni tra le priorità dell’agenda di governo, costi quel che costi, confermando che siamo entrati nel vivo di un lungo anno di campagna elettorale. Prima tappa a giugno quando si voterà per le elezioni amministrative. 

 

In questo scenario, anche se il voto sulla risoluzione parlamentare di oggi è un dato positivo per la tenuta della maggioranza, non bisogna cedere a un eccessivo ottimismo. Tenere uniti gli alleati sulle misure economiche, sulle difficoltà crescenti del ceto produttivo, sul caro energia che colpisce tanto le famiglie quanto le aziende, sarà nei prossimi mesi un compito arduo. E se il conflitto in Ucraina dovesse prolungarsi un quadro ancora più cupo potrebbe delinearsi all’orizzonte. Un esempio: l’Istat stima che in un anno è triplicato il deficit energetico nella bilancia commerciale italiana. Complessivamente si passa, in dodici mesi, da un avanzo complessivo di 4,750 miliardi a un disavanzo di 1,662 miliardi. Un segnale che aumenta la preoccupazione sulle conseguenze di una possibile crisi energetica. Oggi i banchieri centrali e i ministri economici dei 20 Paesi che rappresentano le più grandi economie del mondo sono a Washington per capire come affrontare l’effetto domino della guerra sull’economia globale. Trovare risposte univoche non sarà semplice.

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