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Il muro di Mosca

Putin e la guerra, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

L’autocrate russo non si ferma e sbarra la strada a ogni tentativo di pace. I suoi obiettivi sono altri ed è disposto a raggiungerli costi quel che costi

Putin e la guerra, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

Trattare, lavorare per riaprire i negoziati, intensificare i contatti della diplomazia per arrivare alla pace. Ma cosa succede se una delle due parti in causa, quella che guerra l’ha mossa e la porta avanti da tre mesi, rifiuta il dialogo? Anche il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, ha chiamato Vladimir Putin, ma a colloquio telefonico concluso ha dovuto ammettere: “Non vedo spiragli di pace”. Un’ondata di malvagità, mista a un’ossessione irrealistica di potenza, sembra muovere il presidente della Federazione russa. Un uomo piccolo, aspetto algido, capace di avere migliaia di morti sulla coscienza senza battere un ciglio di quegli occhi di ghiaccio, che guardano il vuoto. Negli ultimi mesi, ammesso che sapremo mai come siano andate veramente le cose, pare abbia subito diversi attentati. Dalle apparizioni e dalle comunicazioni ufficiali non traspare nulla, lo ‘zar’ si mostra saldo al potere. La sfida del tempo sul terreno dell’Ucraina non lo preoccupa, piuttosto potrebbe avvantaggiarlo. Sono passati più di 90 giorni dall’inizio dell’invasione armata e nulla e nessuno sono stati in grado di fermare la sua volontà di guerra. Nemmeno l’avere lasciato sul campo migliaia di giovanissimi soldati russi, mandati a morire senza esperienza, né coscienza di quello cui sarebbero andati incontro nel Paese fratello.

 

Come si fa, dunque, a parlare con chi non vuol sentire? Come si fa a comunicare un messaggio per riannodare i fili che portano a una riappacificazione, come peraltro ha provato a fare il nostro governo, se dall’altra parte non c’è alcuna disponibilità? L’unica speranza è che Putin decida di fermarsi. Ma tutti sappiamo che non lo farà, non ora e non alle condizioni di altri. I suoi obiettivi sono precisi ed è disposto a raggiungerli ad ogni costo. Nonostante le sanzioni stiano piegando l’economia russa, la sua capacità di manipolazione dell’opinione pubblica, la sua pervicacia nel raccontare non la realtà, ma la sua visione della stessa, restano intatte. Una compulsione a prendere ciò che non gli appartiene, un Paese sovrano e una popolazione che difende identità e nazione, una spinta alla distruzione, la sua, che va oltre ogni logica politica e ragionamento militare.

 

L’arma del grano ucraino e russo che tiene bloccato sulle navi ferme nei porti del Mar Nero e del Mare di Azov, che partono solo e quando lo decide, aggravano il dramma della guerra. La minaccia di una carestia nell’arco di poche settimane potrebbe investire l’Africa sub-sahariana e parte del Medio Oriente. Gli effetti dell’aggressione armata di Kiev stanno arrivando lontano dal terreno del conflitto, dove civili e militari stanno pagando un prezzo altissimo, investendo circa 50 Paesi che dipendono dalle esportazioni di cereali di Russia e Ucraina. “A rischio vi è la sicurezza alimentare globale”, è l’allarme lanciato dall’Onu e poi dal G7.

 

In questo drammatico scenario è encomiabile ogni tentativo di cercare vie d’uscita da parte di premier e capi di Stato. La responsabilità è di tutti e nessuna prova potrà mai considerarsi vana, almeno nelle intenzioni. Sulla riuscita l’abbiamo visto: se l’autocrate, che tiene in pugno 140 milioni di russi e che sta sfidando il mondo, non vuole ascoltare a chi parlano?

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