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Il summit

Sanzioni, Ue trova un compromesso. Ma se Orban riesce a sfangarla…

La necessità di mostrarsi uniti agli occhi di Putin motiva i Ventisette, su petrolio intesa a metà. Eppure è tempo che Bruxelles superi i propri limiti

Sanzioni, Ue trova un compromesso. Ma se Orban riesce a sfangarla…

Di più non si poteva fare. I Ventisette escono dal Consiglio europeo del 30 e 31 maggio con una soluzione di compromesso. Alcune decisioni sono state prese: come chiedeva l’Italia, ad esempio, si comincerà a lavorare per fissare un tetto al prezzo del gas. Mentre l’embargo al petrolio russo ci sarà ma da inizio 2023. Riguarderà solo quello che arriva in Europa via mare, con una condizione di favore accordata alla Repubblica Ceca e alla Bulgaria. Viktor Orban, dal canto suo, ottiene per l’Ungheria una sorta di moratoria per l’oleodotto Druzhba che porta il gas in Polonia e in Germania e, attraverso un altro ramo, all’Ungheria e alla Slovacchia. L’oleodotto passa per l’Ucraina. Nulla di fatto, invece, per quanto riguarda l’adesione di Kiev all’Unione europea. La discussione è rinviata al summit del prossimo 23 giugno. Come ha ammesso il premier Draghi. “Lo status di candidato trova l’obiezione di quasi tutti i grandi Stati dell’Ue. Esclusa l’Italia. Ma bisogna immaginare un percorso rapido. La Commissione presenterà un rapporto a fine mese”.

 

La minaccia del veto del governo di Budapest, che per settimane ha sfidato Bruxelles, pronto a far saltare ogni trattativa sull’embargo al petrolio di Putin, alla fine ha funzionato. Pur di trovare un punto di incontro i capi di Stato e di governo, con la mediazione fondamentale degli Stati maggiori, nel senso di fondatori, hanno di fatto concesso a Viktor Orban quanto chiedeva, rinviando la decisone su una sospensione del petrolio che arriva con Druzhba ad un momento successivo. Si è scelto di non scegliere per salvare l’unità dell’Unione di fronte a Putin e in attesa che le sanzioni contro il Cremlino raggiungano il loro massimo impatto. Secondo Palazzo Chigi “quest’estate”.

 

Tuttavia, non è un buon precedente dare a chi sbatte i pugni sul tavolo ciò che vuole. Il braccio di ferro tra Ungheria e Bruxelles sul petrolio russo è durato settimane. Lo sanno bene gli ambasciatori e capi-delegazione del Coreper, che preparano materialmente gli incontri e svolgono i negoziati tra gli Stati membri sulle decisioni da prendere. Ma tant’è. Dopo quattro settimane di discussioni l’Ue ha assunto come priorità la chiusura del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, seppure depotenziato in alcuni suoi aspetti, e di mostrarsi compatta agli occhi di Mosca, come a quelli di Washington. Questo non significa aver superato certi rischi, che sovranismi alimentati da governi condiscendenti, nutrono con esibita ostinazione.

 

Nelle istituzioni europee c’è ancora molto da fare per rendere più snelli e, diremmo, più democratici i processi decisionali su questioni cruciali, compresa la politica estera. Prima la pandemia, ora la guerra in Ucraina, impongono una modifica di un’architettura istituzionale farraginosa e molto complessa. In questo contesto, l’idea del presidente francese, Emmanuele Macron, di creare un nuovo organismo, una Comunità politica europea, che potrebbe agevolare la posizione di Moldavia e Georgia, è come aggiungere un ulteriore convoglio a un treno che fa già fatica a prendere velocità. 

 

A questa Europa sarebbe utile altro per affrontare le sfide attuali e quelle del futuro. Si mostri audace come in occasione del varo del Next Genaration Eu che decise di finanziare con debito comune. Anche allora ci furono divisioni fortissime tra i Paesi membri e il confronto durò parecchi mesi. Alla fine l’Ue seppe andare oltre e superare i suoi limiti. Adesso non deve tornare indietro, né accontentarsi di compromessi che rappresentano una battuta di arresto nel percorso di rinnovamento.

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