
Ognuno ha le sue convinzioni in questo ultimo scorcio di legislatura. Ma l’inedito politico rappresentato dal governo guidato da Mario Draghi crea non poche incertezze sul futuro delle coalizioni in vista del voto del 2023. Il segretario del Pd, Enrico Letta, non ha dubbi che il governo “andrà avanti fino alla scadenza naturale della legislatura. L’ho detto sempre, lo ripeto anche adesso”, dice, “è oltre tutto quello di cui ha bisogno il nostro Paese. Troveremo le giuste soluzioni per le compensazioni che sono necessarie per i danni che le nostre imprese, le famiglie stanno subendo per la guerra. Le troveremo insieme, come abbiamo già fatto col decreto di tre settimane fa”. L’ipotesi è plausibile, a meno che sul finire di quest’anno, una volta approvata la legge di bilancio e completati gli adempimenti in tema di programmazione di finanza pubblica, qualcuno non cerchi lo strappo. Lo scopo sarebbe quello di prendere, giocando di anticipo su altri, le distanze dal ‘partito di Draghi’, in nome della visibilità e di qualche manciata di voti in più. Non è da escludere. Per il momento, il capo dei 5Stelle, l’ex premier Giuseppe Conte, fa sapere: “Non possiamo augurarci un governo di unità nazionale dopo le elezioni”. Questo esecutivo “è nato prima per l’emergenza pandemica, ora c’è un’emergenza bellica. Ma un progetto politico da Leu alla Lega mi pare complicato da definire”. E ancora: “In modo costruttivo noi stiamo dando un contributo per andare avanti, però nel contesto di un governo di emergenza”. La possibilità di appoggiare anche in futuro un esecutivo retto dalla colazione attuale è da escludere.
Un anno, però, è lungo da passare e l’eccezionalità che viviamo a livello internazionale, con gli effetti della guerra che si faranno sentire sempre di più sull’economia reale, rendono l’attuale scenario soggetto a numerose variabili. Certezze è impensabile averne. Intanto ogni formazione politica, dalla più grande alla più piccola, fa i conti e si prepara. Alcuni avvicinamenti, o riavvicinamenti, possono sempre verificarsi. A sinistra, per esempio. C’è chi dice che bersaniani e renziani sarebbero molto meno distanti di un tempo dal segretario dem, o quanto meno che un dialogo più assiduo sia ripreso.
Più probabile, però, che la costola che fa capo al fondatore di Articolo 1 torni nella casa del Pd, piuttosto che lo faccia Matteo Renzi. Il quale, non respinge affatto l’ipotesi di un ancoraggio al centro se altri partiti – quello di Giovanni Toti o Azione di Carlo Calenda - guardassero insieme nella direzione di formare un polo compatto. Quello che il senatore di Rignano esclude è altro: “Noi non staremo con i sovranisti, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Giuseppe Conte” afferma. “Con il mio misero 2% ho mandato a casa Conte, e sono riuscito prima a bloccare Salvini al Papeete, pensate che cosa potrò fare se prendo il 4-5%. Saremo determinanti un’altra volta”.
L’ottimismo ostentato dell’ex inquilino di Palazzo Chigi non è da prendere alla lettera, come già sperimentato in altre occasioni, ma un fatto forse sì: Iv ‘mai con i 5Stelle’. Il che farebbe naufragare da subito il progetto di Enrico Letta di creare quel ‘campo largo’ tale da abbracciare tutti i progressisti, da Italia Viva al M5S, da Liberi e Uguali fino all’area dei Verdi, avendo come perno il Pd. Vedremo. L’esito del prossimo test elettorale del 12 giugno darà ai partiti nuovi elementi di valutazione per le prossime mosse.