la corsa ai rincari

Perché il prezzo della benzina continua a salire, nonostante lo sconto

I prezzi ai distributori non scendono e l’8 luglio scadrà il taglio delle accise. Il Governo pensa a soluzioni, ma pesano guerra, sanzioni e lockdown

Perché il prezzo della benzina continua a salire, nonostante lo sconto

Nessuna traccia di rallentamento, anzi: aumenta il rischio che la corsa al rialzo dei prezzi dei carburanti non sia finita.

Gli automobilisti se ne sono accorti da giorni e il Governo pensa a nuove soluzioni, soprattutto in vista dell'8 luglio, quando scadrà il provvedimento che ha previsto il taglio delle accise di 25 centesimi, tradotti poi in uno “sconto” di circa 30 centesimi al litro alla pompa di benzina.

“Nonostante l'intervento del Governo, che ha ridotto la tassazione di 30,5 cent, da quando è iniziata la guerra il 24 febbraio, un litro di benzina, costa oltre 3 cent in più (3,552 cent), con un rialzo dell'1,9%, pari a 1 euro e 78 cent per un pieno da 50 litri, mentre il gasolio è maggiore di 9 cent (+9,043 cent), con un rincaro percentuale del 5,3%, pari a 4 euro e 52 cent a rifornimento”, ha sottolineato pochi giorni fa in comunicato Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, sulla base dei dati settimanali resi noti dal ministero della Transizione ecologica.

 

Ma perché i prezzi della benzina salgono?

Se in Italia il costo della benzina è ormai prossimo a 2 euro al litro (in qualche caso ha superato la soglia critica, specie se non self service), il problema è sentito anche in altri Paesi europei. A pesare sono soprattutto gli effetti della guerra in Ucraina, ma anche la fine del lockdown in Cina e le recenti decisioni dei paesi produttori di petrolio dell’Opec+.

Le sanzioni e i timori dei mercati, infatti, hanno fatto aumentare il costo del greggio. Ancora il 31 maggio 2022 sia il Brent, il petrolio di riferimento europeo estratto nel Mare del Nord, sia il greggio statunitense West Texas Intermediate hanno raggiunto il record dal 9 marzo, toccando rispettivamente 123,98 e 119,34 dollari al barile. Gli incrementi rispetto alla settimana precedente sono stati così dell’1,9% e del 3,7%.

A influire è anche la fine del lockdown cinese, perché se da un lato il Paese tira un sospiro di sollievo per la fine della crisi sanitaria da Covid, dall’altro cresce la domanda generale di beni, che fa aumentare i prezzi.

Quanto all’Europa, un altro fattore di instabilità è dovuto alle sanzioni sul petrolio russo, decise da Bruxelles, sul 75% delle importazioni, cioè quelle via mare. La Russia, infatti, resta tra i 3 maggiori produttori di petrolio mondiali e tra i principali fornitori europei.

 

L’incognita dell’Opec+

Un ultimo fattore da non dimenticare è rappresentato dagli altri produttori di petrolio, ossia i cosiddetti paesi “Opec+”. Si tratta di Arabia Saudita, Venezuela, Iraq, Iran e Kuwait, Libia, Emirati Arabi Uniti, Algeria, Nigeria, Ecuador, Gabon, Angola, Guinea Equatoriale e Repubblica del Congo, più Russia, Messico, Kazakistan, Azerbaijan, Bahrein, Brunei, Malesia, Oman, Sudan e Sudan del Sud.

Il consesso dei produttori di petrolio di recente ha deciso di non aumentare la produzione di greggio per più di 432mila barili al giorno, dunque respingendo le richieste giunte da più parti che miravano ad abbassare i prezzi. Insomma, anche la speculazione gioca un ruolo determinante.

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