
“Non ero in me”, “Ho agito come se qualcuno si fosse impadronito di me”. Alla fine Martina Patti ha ceduto e ha confessato l’atroce delitto. Dopo ore di interrogatorio da parte dei carabinieri ha permesso di ritrovare il corpo della figlia Elena, di neppure 5 anni, e ha ammesso le sue responsabilità, pur senza fornire un chiaro movente.
La confessione dell’omicidio
La Procura ha fatto sapere che Martina Patti ha confessato di aver colpito più volte la figlia con un coltello da cucina e poi di aver nascosto il corpo della piccola in alcuni sacchi neri, nascosti sottoterra. Un primo esame medico ha confermato che sul corpo della bambina sono stati trovati “molteplici ferite da armi da punta e taglio alla regione cervicale e intrascapolare".
Il ritrovamento di una pala e una vanga sul luogo in cui è stato rinvenuto il corpo della piccola ha confermato la premeditazione. La donna, sottolinea la Procura, ha anche precisato di aver "portato a termine l'orrendo crimine in maniera solitaria".
Adesso la madre è accusata di premeditazione nel fermo per omicidio volontario pluriaggravato e occultamento di cadavere.
I motivi del gesto
Secondo la Procura, la bambina potrebbe essere stata uccisa dalla madre "per via di una forma di gelosia nei confronti dell'attuale compagna dell'ex convivente" in quanto non tollerava che alla donna "vi si affezionasse anche la propria figlia". Smentita, dunque, la prima versione, secondo cui Elena sarebbe stata rapita da tre uomini incappucciati: le immagini delle telecamere, infatti, non mostravano alcuna corrispondenza col racconto e non ci si spiegava perché la donna non avesse chiamato subito le forze dell’ordine, invece che recarsi alla caserma dei carabinieri che si trovava molto più distante. Quanto al contesto, la Procura spiega che ci si trova in "un triste quadro familiare costituito da due ex conviventi che, a prescindere dalla gestione apparentemente serena della figlia Elena, avevano allacciato nuovi legami e non apparivano rispettosi l'un l'altro".
Infanticidi: quanti sono
I fatti di Mascalucia, in Sicilia, allungano la lista degli infanticidi “illustri”.
Secondo l'ultimo rapporto Eures, tra il 2000 e il 2014 sono 379 i figli uccisi da un genitore in Italia, che però secondo altre fonti potrebbero arrivare a 500.
Di recente un padre di 44 anni ha tolto la vita ai suoi due figli di 13 e 7 anni, a Mesenzana, nel Varesotto, per poi suicidarsi, nell’ambito di una separazione difficile dalla ex moglie e madre dei ragazzi.
A gennaio un altro padre, Davide Paitone, 40 anni, ha ucciso con una coltellata alla gola il figlio di 7 anni, per poi tentare di togliere la vita alla moglie dalla quale si stava separando.
A ottobre 2021, due bambine di origini cingalesi di 3 e 11 anni sono state ritrovate senza vita nella loro stanza, in una casa di accoglienza, a Verona. Da subito sono partite le ricerche della loro madre, il cui cadavere è stato successivamente ritrovato nell'Adige.
I precedenti illustri
Molti sono gli altri casi registrati nei mesi precedenti, mentre un episodio di cronaca molto noto è quello della morte del piccolo Loris Stival, trovato morto in un canalone, a 4 chilometri dalla scuola che frequentava a Ragusa nel 2014. La madre, Veronica Panarello, ne aveva denunciato la scomparsa qualche ora prima. Per quel delitto la donna è stata condannata a una pena a 30 anni di reclusione, al termine di un processo seguito da vicino dai media.
Un altro caso sotto i riflettori aveva riguardato, nel 2002, una donna di 31 anni che nella sua casa a Madonna dei Monti, frazione del Comune di Valfurva, aveva aperto lo sportello della lavatrice mettendovi dentro la sua bambina di 8 mesi e uccidendola azionando l’elettrodomestico. Era stato il padre a scoprire l'omicidio, rientrato in casa con l'altra figlia di 11 anni.
A concludere la lunga serie di infanticidi sotto i riflettori, ai quali si aggiungono quelli meno conosciuti e molto numerosi, c’è il delitto di Cogne.
Era gennaio del 2002 quando Samuele Lorenzi, 3 anni, venne trovato senza vita, con ferite profonde sulla testa, nel lettone dei genitori, nella casa di Montroz.
La madre, Annamaria Franzoni aveva chiamato i soccorsi, chiedendo aiuto anche ai vicini di casa. L'arma del delitto, probabilmente una roncola, non è mai stata ritrovata. La donna, dopo un lungo processo, finito in tv con interviste e dibattiti, è stata condannata a 30 anni in primo grado. Ad Annamaria Franzoni la pena è poi stata ridotta a 16 anni in appello, con la concessione delle attenuanti generiche.
Nel 2008, la Cassazione ha confermato i 16 anni di reclusione, ma dopo aver scontato 6 anni in carcere e 5 ai domiciliari, la donna ha estinto in anticipo la pena per buona condotta.
Nel frattempo ha avuto un altro figlio dal marito, che non lha mai lasciata sola e l’ha sempre difesa.