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Cosa resterà

Conte e Di Maio, separati di fatto in attesa del giorno del divorzio

Governo e maggioranza lavorano a una risoluzione che metta d’accordo tutti. Ma nei 5S si pensa al dopo. Come gestire Di Maio ancora capo della Farnesina?

Conte e Di Maio, separati di fatto in attesa del giorno del divorzio

Una partita complicata che si gioca sul filo delle parole. Stamattina nuovo vertice dei rappresentanti della maggioranza e di quelli del governo per concordare un testo in cui le posizioni di tutti trovino un equilibrio. Dopo la riunione di ieri durata circa sei ore, stamattina si ricomincia da capo. Nuovo round sulla risoluzione che la maggioranza dovrà votare dopo le comunicazioni di Draghi in vista del Consiglio Europeo di giovedì e venerdì. Inutile dire che a dare più pensieri è ancora il Movimento Cinque Stelle. Il leader Giuseppe Conte dopo lo scontro durissimo con il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, cerca una via di uscita. Quella di oggi per i grillini, sul piano politico ovviamente, sarà solo una soluzione tampone. Il livello della spaccatura tra continai, difesi questa volta anche dal presidente della Camera, Roberto Fico, e dimaiani è a un livello tale che un epilogo non lieto è dietro l’angolo. La domanda che tutti si pongono è come farà da domani Conte a sostenere ancora il capo della diplomazia italiana che formalmente è nel governo in quota 5Stelle, sostanzialmente no.

 

Tutti aspettano. Di Maio conta le truppe di deputati e senatori che sarebbero disposti a seguirlo. C’è chi parla addirittura di circa 20 senatori e 45 deputati. Se così fosse la pattuglia dei dissidenti sarebbe ben nutrita e pronta a formare gruppi parlamentari autonomi. Questo darebbe al ministro di Pomigliano d’Arco un certo margine di tempo per organizzarsi e decidere eventuali e future alleanze da capo di una nuova formazione, anche se piccola. Conte, invece, si troverebbe a fronteggiare una nuova emorragia che finirebbe per ridimensionare ulteriormente la forza politica e parlamentare di un partito in preda a continue crisi di nervi, fatto ormai di schieramenti interni in continua fibrillazione.

 

L’accordo per votare la risoluzione – si comincia oggi dal Senato dove Draghi interverrà nel primo pomeriggio – si troverà nelle prossime ore. Pe l’ex avvocato del popolo è chiaro che il premier non cederà sulla politica atlantista per la difesa di Kiev con l’invio di ulteriori armi. Su questo Draghi è stato inamovibile: non c’è bisogno di un nuovo voto parlamentare sul sostegno militare a Zelensky. Conte sa bene, dunque, che può tirare la corda fino a un certo punto. Oggi sulla questione arriva anche una nuova stoccata proprio del titolare della Farnesina. Intervenendo all’Assemblea parlamentare del Mediterraneo sulla Convenzione di Palermo rimarca che quella in Ucraina è “una guerra scatenata sul suolo europeo dall’illegale aggressione russa”.

 

Il ministro mantiene la sua posizione sull’invasione di Mosca, che è quella del governo e del presidente Draghi. Da settimane, mentre il Movimento ha preso le distanze dall’esecutivo sul conflitto russo-ucraino, certe volte più come un partito di opposizione che non di maggioranza, Di Maio ha giocato per rafforzare il suo essere uomo di governo. Una scelta che sarà il suo viatico per rimanere a lungo in politica. Niente più grillismo della prima ora. E nessun compromesso sulla possibilità di derogare alla regola del ‘secondo mandato’. Prenderà un’altra strada Giggino. Con Conte i rapporti non sono mai stati idilliaci ma presto i loro non saranno più destini incrociati. 

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