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Guerra, sanzioni, gas e microchip: chi ci guadagna e chi ci perde

La Russia starebbe soffrendo per la scarsità di microchip, usati anche per le armi più sofisticate. La Norvegia sarebbe vicina al record per export di gas

Guerra, sanzioni, gas e microchip: chi ci guadagna e chi ci perde

La campagna elettorale in Italia è stata alimentata negli ultimi giorni dalle parole di Matteo Salvini sulle sanzoni che, secondo il leader della Lega danneggerebbero più l'Italia che non la Russia. Ma anche la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Zakharova, ha "tuonato" contro il Governo di Roma, proprio avvertendo delle conseguenze negative delle sanzioni per l'economia italiana.

Ma a chi nuocciono maggiormente? 

A fare i conti e provare a capire se il Cremlino sta subendo davvero contraccolpi economici è stato Politico, quotidiano statunitense online, che ha puntato l'attenzione sui microchip. 

Non solo servono per le tessere come quella sanitaria italiana (che, infatti, dovrà farne a meno proprio per la scarsità di materie prime), ma anche per l'industria bellica. 

 

La Russia in crisi per la mancanza di microchip

Politico, nella sua inchiesta, non esita a definire i microchip come il "nuovo petrolio", di cui un po' in tutto il mondo si inizia ad avvertire la scarsità. 

Come spiega il quotidiano, la Russia in questo momento sarebbe quella che soffre maggiormente, per un duplice motivo: da un lato ci sono le sanzioni, che limitano gli approvvigionamenti delle materie necessarie a realizzare i microchip; dall'altro ci sono controlli più stringenti sulle vendite di questi prodotti (come l'accordo di Wassenaar e le recenti norme europee) che, come prosegue il giornale, ha un doppio uso: civile, per realizzare bancomat, tessere e processori; bellico perché permettono il funzionamento di armi altamente sofisticate, di cui ci sarebbe maggior bisogno per le offensive contro l'Ucraina, che proseguono ormai da oltre 6 mesi. 

 

Le sanzioni funzionano?

Secondo James Byrne, direttore del'intelligence e analisi open source di RUSI, think tank che opera nel campo della sicurezza, "Parte dell'obiettivo delle sanzioni è quello di rallentare l'approvvisionamento di componenti ad alta tecnologia e, in concreto, limitare la capacità dei russi di usare questi strumenti di fascia alta. Quindi, dovranno affidarsi sempre di più ad apparecchiature obsolete", ha spiegato l'esperto a Politico. A garantire precisione alle dotazioni militari russe, come ad esempio i missili ipersonici, sono infatti i microchip e le scorte di Mosca si starebbero riducendo. 

Non va, però, dimenticato che il Cremlino non è rimasto a guardare e, secondo fonti di intelligence, si starebbe adoperando per fornirsi dei materiali in modo "alternativo", o tramite canali non ufficiali (specie online) o attraverso società terze. 

 

Chi produce i chip nel mondo

Il problema nasce dal fatto che i maggiori produttori di microchip al mondo si trovano nel Regno Unito, in Germania e Belgio per quanto riguarda l'Europa, mentre in Asia sono in Giappone (alleato degli Usa), a Taiwan e in Cina. Da qui l'idea che proprio Pechino possa fare la tramite. Ma a che prezzo? 

Al momento si sa che la Repubblica popolare ha accordi per fornire a Mosca veicoli militari come fuoristrada, o componenti per la realizzazione di droni e motori per le navi militari, ma è plausibile che di fronte alla scarsità il costo aumenterà. 

Inoltre, non c'è certezza sull'efficacia delle sanzioni stesse, tanto che proprio Byrne afferma: "È probabile che la Russia abbia acquistato scorte di microchip occidentali e altre apparecchiature essenziali per anni, ma ora potrebbe essere in esaurimento". 

Il condizionale, quindi, è d'obbligo. 

Chi, invece, stare guadagnando è la Norvegia, per nulla svantaggiata dalla crisi del gas, anzi. 

 

La Norvegia "guadagna" col gas

Se l'Italia (ma anche la Germania e non solo) soffre per la crisi del gas, in Norvegia ci si prepara a "festeggiare" un'annata da record. Il paese scandinavo, infatti, è pronta a ricordare il 2022 come quello del primato assoluto nell'esportazione di gas. A sostenerlo è stato il capo dell'operatore del sistema di gasdotti norvegesi Gassco, Frode Leversund. I dati lo confermano: con un aumento di 60 terawattora (pari a 4,97 miliardi di metri cubi di gas), Oslo è diventato il principale fornitore di gas in Europa, superando la Russia e anche prima che il gasdotto Nord Stream 1 sospendesse le forniture (a singhiozzo). 

Entro fine anno si stima di poter arrivare a oltre 117 miliardi di metri cubi di gas, contro i 113,2 del 2021. 

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