
Nel centrosinistra è una campagna elettorale di tutti contro tutti nel centrosinistra. A scatenare una nuova ridda di reazioni è stavolta l’intervista rilasciata dal segretario del Pd, Enrico Letta, che al quotidiano La Stampa dichiara: “Il vero problema” della destra “è l’obiettivo che hanno, inaccettabile. Io sono contro il presidenzialismo, lo trovo una scorciatoia insidiosa, il modo populista di dire ai cittadini: guardate, le cose non vanno bene, datemi tutti i poteri in mano e risolvo io. La verità è che sanno benissimo che non sarebbero in grado di governare un momento così difficile e si stanno costruendo l’alibi perfetto per non farlo”. Il capo del Nazareno aggiunge: “Tutta questa fretta, questo ardore, nascondono il vero obiettivo: mandare a casa Sergio Mattarella, Berlusconi se l’è lasciato sfuggire, l’intenzione è chiarissima, ma noi ci opporremo in ogni modo”. E’ convinto che il centrodestra cambierebbe, stravolgendola, la Carta costituzionale a colpi di maggioranza. E non solo. “Ci sono la Corte Costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura, per i quali l'equilibrio parlamentare è dirimente”. Insomma “l’allarme di una torsione maggioritaria è reale” secondo Letta. E poi c’è la questione del simbolo. Se Meloni volesse trasformare Fratelli d'Italia in un moderno partito conservatore “toglierebbe la fiamma, il fatto che non ne abbia intenzione dimostra come non sia su quella strada”.
A rispondere alle affermazioni di Letta a stretto giro non è però la diretta interessata. A replicare subito sono Carlo Calenda e Matteo Renzi, cugini di area centrosinistra anche se non compagni di coalizione. Il leader di Azione bolla come “cazz….” le affermazioni del segretario del Partito democratico. “Non si caccerà Mattarella e non si cambierà la Costituzione”, dice. Anche Renzi è tranchant: “Letta cerca la rissa e si vergogna dell’alleanza con Di Maio e Fratoianni”. Insomma, la lotta all’ultimo voto tra Pd e gli ex del Pd va avanti. Scambi al vetriolo che palesano la corsa del Terzo Polo a strappare voti ai dem più che al centrodestra.
Nel fronte cosiddetto progressista, su cui ambisce a mettere la bandierina il Movimento Cinque Stelle di Giuseppe Conte, non va meglio. La virata a sinistra dell’ex premier infastidisce a sua volta i dem e la sinistra radicale. Ma il cambio di prospettiva, tanto repentino quanto poco credibile, non sta riuscendo all’avvocato. Molti lo additano come il Mélenchon o aspirante tale italiano. L’originale francese ha però una posizione ben diversa e sostiene Unione Popolare dell’ex sindaco di Napoli, Luigi De Magistris.
Quello a cui assistiamo nel campo avverso al centrodestra è oggettivamente un pot-pourri: c’è chi tenta la strada del falso progressismo, chi del riformismo rampante, chi cerca la ‘polarizzazione’ del voto, chi la personalizzazione della politica nella sua forma più accentuata. Un miscuglio che alimenta vecchi e nuovi rancori tra leader, oltre che confusione nell’elettorato. Il risultato è che in questa difficile corsa verso le elezioni politiche del 25 settembre gli avversari da sconfiggere non sono Meloni, Salvini e Berlusconi. Ma sono interni all’area di riferimento. Lo scenario che si prefigura non è allettante: la frammentazione politica a sinistra allontana l’elettore che non riesce più a riconoscersi in nessuna formazione in lizza.