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I volti del centrosinistra

Il Pd, la fase critica e le zavorre di cui bisogna liberarsi

Le dimissioni del segretario e il nuovo congresso. Le sfide che attendono i democratici dopo una sconfitta che brucia. Prima: definire la meta del partito

Il Pd, la fase critica e le zavorre di cui bisogna liberarsi

C’è chi sostiene che tutto sia dipeso dal naufragio del ‘campo largo’ prima delle elezioni. Chi invece addita Letta come colpevole per aver fallito su tutta la linea. In ogni caso è opinione diffusa che il Pd sia ormai un partito da rifondare perché manca di prospettive e di una visione del futuro. Al Nazareno dopo la sconfitta elettorale si fanno i conti con un presente difficile e complicato e con il passo indietro deciso dal segretario. Enrico Letta traghetterà il Pd verso il prossimo congresso, forse anticipandolo a gennaio, ma non si ricandiderà per la leadership. Le dimissioni immediate sono state scongiurate per assicurare un periodo di transizione, evitare vendette interne, avviare una riflessione “profonda” al fine di individuare un orizzonte per gli anni a venire.

 

Avanzano i nomi dei possibili candidati alla segreteria: oltre al governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, si indica con sempre maggiore insistenza la sua vice, approdata ora in Parlamento, Elly Schlein. Ma sarebbe illusorio pensare che il problema del Partito democratico sia quello di trovare un nuovo timoniere, perché è evidente che il punto non è questo. Piuttosto si tratta di capire se la barca è abbastanza forte per solcare le acque e se ha una direzione, una meta. Per comprendere fino a che punto è strutturale la crisi basti pensare a cosa è accaduto a Roma nei collegi uninominali. Due, solo due, sono quelli vinti dai democratici.

 

I neo-eletti si chiamano Paolo Ciani e Nicola Zingaretti. Il primo, già consigliere regionale, non è neanche del Pd ma della componente Demos. Il secondo, come è noto, è presidente della Regione Lazio. Per entrare in Parlamento dovrà dimettersi mettendo fine anticipatamente alla legislatura in corso. E, con l’aria che tira, ipotizzare una vittoria del centrosinistra alla prossima tornata regionale è fuori dalla realtà. Dunque, per candidare l’ex segretario si voterà prima nel Lazio con la quasi certezza di un’ulteriore sconfitta. Se non è autolesionismo questo…

 

E poi c’è il discorso delle diverse anime interne, o per usare un linguaggio più aderente ai fatti, delle differenti correnti, ciascuna con un capo di riferimento. Per ragioni di sintesi diremo che due sono gli orientamenti di massima, figli rispettivamente dell’eredità popolare e di quella diessina. Dalla Margherita deriva la radice popolar-riformista, moderata, a tratti liberale, dai Ds il pensiero di sinistra. In mezzo, un filone socialdemocratico che alternativamente fa da sponda alla prima o al secondo. In questo scenario il Pd deve capire cosa vuol fare da grande, questo è il nodo principale. Se la batosta elettorale sortirà qualche effetto lo capiremo nelle prossime settimane. E’ il tempo di un silenzio costruttivo all’esterno e di una riflessione vera e serissima all’interno.

 

Letta ha fatto parecchi errori, ma c’è da dire che ha dovuto maneggiare un partito sclerotizzato, già da lungo tempo avvitato su se stesso. Tuttavia le “facce nuove” non basteranno a ritrovare la rotta. Sarebbe utile uscire da meccanismi autodistruttivi e ritrovare lo slancio delle idee e degli ideali prospettando agli elettori un’alternativa, un percorso possibile in cui tornare a credere.

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