
La scelta decisiva, a quanto pare, l’ha fatta nel febbraio 2021 quando Fratelli d’Italia fu l’unico partito ad andare all’opposizione del governo Draghi. Allora le intenzioni di voto già davano Giorgia Meloni in ascesa con punte del 16%, ma dietro a Lega e Partito democratico. In diciotto mesi il salto verso il 26%, che ha incoronato FdI primo partito e traghetterà la leader verso Palazzo Chigi. Eppure, mai come questa volta, la Meloni ha bisogno dell’ombrello protettivo del premier uscente, della sua competenza in materia di conti pubblici, della sua autorevolezza in campo internazionale e con gli alleati Ue e della Nato. In questa fase di passaggio - che porterà il Paese tra poco più di dieci giorni all’insediamento delle nuove Camere e, dopo la formazione dei gruppi e l’elezione dei presidenti, alla nascita del nuovo governo – la vincitrice delle elezioni studia in che modo attingere all’esperienza dell’Agenda Draghi. Che in ogni caso ha assicurato al Paese stabilità, rimesso ordine nella finanza pubblica, portato crescita (seppure frenata dalla guerra in Ucraina), restituito all’Italia un protagonismo nei consessi internazionali che era stato messo nel cassetto da un paio di decenni.
Meloni è troppo scaltra per non sapere che dopo la legittimazione del voto popolare ha bisogno di un’altra legittimazione, che la rete di protezione dell’ex numero uno della Bce potrebbe offrirle. Ne avrà bisogno per confermare fuori dai confini nazionali che veramente il suo partito rappresenta una destra conservatrice e non radicale. E per aprire le porte di un dialogo costruttivo con chi diffida di lei e della sua classe dirigente. Poi dovrà fare da sola.
Il primo nodo è la legge di bilancio. Domani il governo uscente presenta la Nadef, la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza. Siamo in piena sessione di Bilancio ed entro il 31 dicembre va approvata la legge che darà anche conto delle nuove spese. La scelta del prossimo ministro dell’Economia sarà decisiva per decifrare l’impostazione delle politiche economiche dell’esecutivo di centrodestra. Se sarà una figura squisitamente tecnica o più politica, in un contesto generale in cui il debito pubblico rappresenta il 45% del Pil, farà senza dubbio la differenza. Dal nome di chi guiderà il dicastero di via XX settembre dipenderà anche l’atteggiamento di Bruxelles, ovvero quanto considererà attendibile e seria l’Italia in materia di stabilità finanziaria.
Intanto la Commissione di Ursula von der Leyen ha annunciato il via libera alla seconda tranche di versamenti provenienti dal Next Generation Eu. Ventuno miliardi stanno per esser sbloccati per gli obiettivi promessi e raggiunti dall’Italia. Ma il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza di Roma preoccupa non poco i vertici della Commissione europea. Fratelli d’Italia non ritiene che il Pnrr sia intoccabile e non esclude una revisione. L’idea non piace in Ue. I patti sono chiari fin dall’inizio: i soldi arriveranno solo sulla base di quanto già concordato. Paolo Gentiloni, commissario all’economia avverte: “E’ lo strumento comune più efficace di cui disponiamo. Un’opportunità unica per l’Italia e per costruire un’economia più competitiva e sostenibile e una società più equa. Spetterà al prossimo governo italiano fare ogni sforzo per coglierla”.