
E’ il giro di boa di fine anno che farà la differenza in materia di conti pubblici. La crescita per il 2022 è stata migliore del previsto, almeno rispetto ad aprile: dal 3,1% al 3,3%. Ma frenerà bruscamente nel 2023. La buona notizia però c’è e il governo uscente l’ha messa nero su bianco nella Nota di aggiornamento al Def. Riguarda soprattutto l’inflazione. Che dovrebbe scendere fino a punte del 4,5% nel prossimo anno e al 2,3% nel 2024. Se le stime verranno confermate si tratterebbe di una boccata di ossigeno per cittadini e imprese. E pure per gli investitori. L’incognita, tuttavia, resta quella del caro energia e del gas che da noi sono a monte dell’aumento generalizzato dei prezzi. L’altra buona news riguarda il deficit: è stato abbassato per l’anno in corso e per il prossimo di 0,5 punti. Dal recupero sull’eccedenza del passivo l’esecutivo Draghi è riuscito ad accantonare circa 10 miliardi per il 2022 e 10 per il 2023. Sono cifre importanti nella prospettiva della prossima legge di bilancio. La manovra va chiusa entro il 31 dicembre e presentata a Bruxelles entro metà ottobre (ma all’Italia quest’anno sarà concessa una proroga per dar tempo al nuovo governo di entrare nell’esercizio delle sue funzioni e approntarla). Il tesoretto sarà utile a chiunque guiderà il ministero dell’Economia. Perché se è vero che le spese vanno ancora programmate, alcune sono ineludibili. E servirà rendere disponibili almeno 35 miliardi.
La parola che più spaventa è recessione. La flessione della crescita per due trimestri consecutivi, inevitabile conseguenza del conflitto russo-ucraino, avrebbe conseguenze in ogni campo economico. Oltre al Pil andranno considerati i livelli occupazionali, gli utili delle aziende e possibili fallimenti delle stesse. Da questi fattori dipenderà poi l’atteggiamento degli investitori, in primis dei privati. Molti analisti già vedono la tempesta all’orizzonte anche se è impossibile valutarne la portata prima che si verifichi. Prudenza vuole che, oltre alle scelte di politica economica, si valutino con molta attenzione quelle inerenti alla stabilità dei prezzi, dunque di politica monetaria.
La Banca Centrale Europea per controllare il balzo inflativo ha deciso da qualche mese di alzare i tassi di interesse, praticamente scesi a zero nel periodo pandemico. L’obiettivo è arrivare al 2% di inflazione. Ma è un’arma a doppio taglio perché se il denaro costa di più gli investitori fuggono. L’istituto guidato da Christine Lagarde pensa però che i danni sarebbero più gravi senza il rialzo. Anche sull’acquisto dei titoli di Stato c’è stata un’inversione di rotta.
In questo scenario si comprende che far quadrare i conti non sarà impresa semplice. Il governo uscente ha saputo assicurare maggiori entrate del previsto e contenere nei limiti del possibile le spese primarie. Si attende un calo non solo del deficit ma anche del debito al 143,2% del Pil. Ora toccherà al nuovo esecutivo cercare di trarre vantaggio dall’impostazione data e dimostrare di avere la capacità di affrontare le nuvole che già si scorgono.