
Egregio Signor ministro della Sanità, gentile collega, ho frequentato Medicina a Tor Vergata, dove Lei è stato qualche decennio dopo preside della Facoltà e poi Rettore e, nel ricordo degli anni dei miei studi appassionati, Le auguro buon lavoro e Le dico che noi medici ci aspettiamo molto dal suo impegno e dalle sue capacità. Personalmente, me lo aspetto non solo perchè abbiamo calpestato in ruoli diversi le stesse aule ma soprattutto perchè Lei è uno dei pochissimi ministri tecnici del governo di Giorgia Meloni e deve occuparsi della Sanità, che è l’argomento che riguarda più da vicino tutti i cittadini, sia chi ha votato per la coalizione, sia chi non l’ha votata, sia chi si è astenuto (e sono stati tanti). Infatti in campagna elettorale non se ne è parlato affatto. Tutti i partiti politici hanno scelto di evitare un tema delicatissimo dove non era possibile fare promesse avventate o anche sbagliare giudizi sull’esistente, visto che nel bene o nel male, i cittadini hanno memoria di un’esperienza di malattia che li ha coinvolti o ha coinvolto i propri familiari.
Se era questo il prezzo da pagare per arrivare alla scelta di una persona competente come ministro della Sanità, lo abbiamo pagato volentieri, ma ora tocca a Lei dimostrare che si può maneggiare con accortezza e fuori dai pregiudizi e dai luoghi comuni, con lungimiranza e passione, una materia che tocca terribilmente da vicino tutti e che, bollette a parte a causa della guerra in Ucraina (problema grave ma, speriamo, temporaneo), misura il nostro rapporto ravvicinato con la più diretta emanazione dello Stato ed è il termometro vero di quello che si intende per servizio pubblico, cioè di quanto noi tutti come cittadini consideriamo non negoziabile visto che da sempre siamo una delle democrazie occidentali che più di tutte le altre ha scelto di fornire il servizio sanitario universale per la gran parte gratuito a tutti.
Purtroppo, come Lei sa bene, le cose da troppo tempo hanno preso un’altra piega: la competenza regionale sulla Sanità ha dilatato la spesa con sbalzi incomprensibili (o troppo comprensibili) del costo di materiali e servizi da un posto all’altro; i tagli alla spesa stessa che ne sono seguiti hanno lasciato pezzi di territorio sguarniti di servizi essenziali aumentando la distanza fisica tra i cittadini e la sanità allo stesso modo in cui i recenti tagli ai parlamentari hanno dilatato i collegi elettorali per cui deputati e senatori non hanno più alcun rapporto “fisico” con chi dovrebbero rappresentare, e ovviamente non bastano i social a colmare la lacuna. I posti letti in ospedale sono fortemente diminuiti negli ultimi trent’anni; le liste d’attesa sono una piaga che va affrontata, perchè di fatto divide i pazienti e il Paese tra chi può rivolgersi immediatamente ad una struttura privata e chi è costretto a subire i tempi della sanità pubblica; persino la mortalità da parto è aumentata del 60 per cento negli ultimi anni. I pronto soccorso sono ingolfati sia di traumi gravissimi sia di banali congestioni alimentari, il servizio peggiora di giorno in giorno, i medici fuggono e sale la sfiducia mentre la popolazione invecchia e avanza la consapevolezza che sarà difficile mantenere anche gli attuali livelli di assistenza. E il Covid, come tutti sappiamo, ha peggiorato ancora di più le cose, sconvolgendo o ritardando interventi clinici e chirurgici.
Ovviamente, ci sono tutti i giorni episodi di dedizione personale e di collaborazione tra i vari soggetti del servizio pubblico che insieme risolvono situazioni complicate (medici che mancano in pezzi importanti di territorio o anche liste d’attesa che si possono ridurre e nel mio distretto le abbiamo fortemente ridotte), nel Lazio che entrambi conosciamo meglio ci sono Asl e direttori di Asl che funzionano, ma purtroppo l’immagine complessiva del sistema sanitario è quella opaca, burocratica e inefficiente che viene se possibile peggiorata dal confronto con la sanità privata, peraltro finanziata anch’essa dallo Stato oltre che dalle assicurazioni e che per preservare il proprio status si è tenuta colpevolmente fuori dall’assistenza Covid.
Vede Signor Ministro, bisogna che Lei inviti tutti a ripartire dai fondamentali. La sanità è innanzitutto la figura del medico, mentre mai come adesso invece il suo ruolo e’ messo in discussione: non è più centrale nell’organizzazione sanitaria, è in qualche modo costretto a fuggire dai pronto soccorso, guadagna poco rispetto alle responsabilità che ha o che dovrebbe avere salvo rifugiarsi nel privato ma solo quando ha sufficiente notorietà ed esperienza guadagnata nel servizio pubblico. Molti colleghi, soprattutto quelli giovani e già bravi, se ne vanno all’estero. Chi ha l’età per farlo va in pensione. La Calabria come sappiamo ha dovuto far ricorso a 50 colleghi cubani.
Da Lei dunque ci aspettiamo che rafforzi quella dignità professionale pubblica che ciascuno di noi ha sinora difeso con i denti in un contesto sempre più difficile, che dia il via ad un vero e proprio rinascimento della professione medica. Senza questa spinta, che può venire solo da Lei, è davvero difficile parlare di medicina del territorio o delle case di comunità previste dall’ormai mitico Piano nazionale di ripresa e resilienza, perchè se in esse metti solo il medico di base a fare le ricette cambia poco, mentre ci vogliono competenze multidisciplinari per alleggerire sul serio la pressione sugli ospedali e per lavorare concretamente ad un modello che va costruito in un modo soltanto: sul campo, sporcandosi le mani, uscendo dalle frasi fatte e avendo il coraggio di andare a vedere come funzionano effettivamente le cose in una Asl e nelle sue decine di diramazioni e articolazioni.
Signor ministro, ne potremmo parlare all’infinito ma nel rilancio effettivo della professione medica che mi permetto di suggerirLe va inserita la preparazione dei giovani medici, preparazione tuttora carente non soltanto perchè troppo spesso gli specializzandi vengono mandati allo sbaraglio in reparto con tutti i rischi che ne conseguono per loro e per i malati: io a Tor Vergata feci il primo test di ammissione a Medicina in base alla riforma appena varata, entrammo in 120 su alcune migliaia di aspiranti in base ad una selezione meno a maglie larghe di oggi, e qui Le sottolineo il tema della formazione dei medici: sappiamo che bisogna partire da più lontano, dalla scuola secondaria, dare ai giovani una cultura generale più ampia perchè il medico non può essere solo un tecnico ma deve saper capire e, se necessario, spiegare talvolta il senso stesso della vita ai pazienti, con umiltà e ironia per aiutarli a superare i momenti difficili. Serve, come dice un mio stimato collega, che la figura del medico sia umana, umanista e tesa all’umanesimo.
Sono fiduciosa che Lei ponga davvero la valorizzazione del medico al centro della sua azione di ministro poichè essa è la base di partenza e di arrivo di ogni discorso di riforma o anche soltanto di rivalutazione del ruolo del servizio pubblico. Le tecnologie ci stanno aiutando molto, ma la sanità è fatta di persone che lavorano con altre persone che in quel momento sono particolarmente fragili e quindi ancora più bisognose, non solo di cure ma anche della parola o del gesto giusto. Quindi, per cominciare, meno burocrazia e più umanità, meno asettiche mail per salvarsi l’anima o scaricare le responsabilità e più contatto diretto. Sembra poco ma se fatto da più colleghi, magari sostenuti da un’azione diretta (anche di comunicazione) del Suo ministero, sarebbe già un passo in avanti importante per il servizio pubblico.
Le auguro buon lavoro, con stima