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Il dibattito aperto da Tiziana Carrabs

Sanità e campagna elettorale? Non ci sono i soldi per le promesse

E i cittadini se ne accorgerebbero subito. La formazione carente dei nuovi medici, i livelli di assistenza diseguale delle Regioni e gli altri malanni

Sanità e campagna elettorale? Non ci sono i soldi per le promesse

Bene ha fatto The Italian Times ad aprire il dibattito con l’articolo della collega Tiziana Carrabs (già ripreso sulla prima pagina di Domani) sull’assenza del tema sanità nella campagna elettorale forse più importante degli ultimi decenni. Credo che non sia casuale, perchè non è facile per i partiti indicare soluzioni credibili per un sistema sanitario già in crisi ben prima della pandemia. Infatti il Covid ha  dimostrato che il re era nudo, e sommava i nuovi problemi sollevati dalla virulenza del contagio ai vecchi e storici malanni che affliggevano i presidi ospedalieri e territoriali. E’ da sottolineare che già da qualche anno, ma soprattutto durante la pandemia, da più parti (governo, ministero della Sanità, partiti) erano emerse proposte e tentativi di ulteriore riforma del sistema sanitario nazionale, ma curiosamente i protagonisti, i consulenti dei ministri, sono nella stragrande maggioranza gli stessi, che avevano contribuito alle varie controriforme susseguitosi a Sanitopoli (cioè gli scandali avvenuti alla fine della Prima Repubblica, di cui tale Duilio Poggiolini, all’epoca direttore generale del Ministero della Sanità,  era diventato l’emblema con i lingotti d’oro ricevuti dalle case farmaceutiche e nascosti in casa). Dunque chi ha creato i problemi, è anche in grado di risolverli? 

 

 

 

 

 

Nel frattempo la situazione è peggiorata perchè la spesa sanitaria, attraverso le Regioni, è passata dai 75 miliardi del 2001 agli attuali 124 (ai quali va aggiunta la considerevole spesa privata dei cittadini) e lo Stato non ce la fa più a reggerla, sprechi a parte ovviamente: alcune regioni finiscono i fondi a metà anno, non garantendo più l’assistenza totale ai cittadini (vedi, ad esempio, la Campania). Anche il governo Draghi ha dovuto, dopo la parentesi del picco di spesa pandemico, tornare ai livelli di spesa precedenti. Questo significa che la ripartizione del Fondo sanitario nazionale (124 miliardi per il 2022, 126 per il 2023 e 128 per il 2024) non basta più a garantire l’assistenza sociosanitaria completa. E ciò ha provocato aspre polemiche tra le regioni e il governo sui criteri di ripartizione, a suo tempo approvati sia da governi di centrosinistra sia da governi di centrodestra, sia da governi tecnici, poichè molti governatori, in particolare del Sud, reclamano criteri nuovi di assegnazione dei fondi perchè quelli utilizzati sinora non tengono conto della situazione reale. Ma anche rivedendone la suddivisione resta l’insufficienza totale dei fondi: in pratica, i soldi non bastano, e occorrerebbe avere il coraggio di passare dal welfare sanitario universale ad un welfare sanitario selettivo in base al reddito. 

 

Oggi un malato cronico costa al sistema sanitario circa 40 mila euro all’anno, e noi abbiamo la più alta concentrazione europea di anziani, la maggior parte con pluripatologie. Inoltre, i successi della ricerca oncologica con l’apporto di nuovi farmaci personalizzati hanno di fatto incrementato enormemente le previsioni di spesa, con un ciclo terapeutico che parte da 50 mila euro e che, in certe forme tumorali, può arrivare a costare anche 300 mila euro.  Chi scegli di curare, secondo la bioetica? 20 malati di cirrosi epatica, oppure un solo malato di grave forma tumorale? E’ ovvio che i partiti non ne possono parlare in campagna elettorale.

 

Ma le conseguenze generali della mancanza di fondi si ripercuotono pesantemente sulla qualità del servizio, e il campanello d’allarme più grave e pericoloso nell’immediato futuro riguarda la carenza di formazione dei nuovi medici, che si somma alla ormai cronica mancanza dei medici di famiglia, il cui ruolo è fondamentale sul territorio. Nella maggior parte degli Stati membri dell’Europa, nel 2016,   c'erano da 60 a 120 medici generici per ogni 100.000 abitanti. Due paesi ne hanno  di più: il Portogallo (253 per 100 mila ) e l'Irlanda (179 per 100 mila). All'altro capo della scala, la Grecia, che ha il numero più basso di medici di famiglia in relazione alle dimensioni della popolazione (42 per 100 mila abitanti). Al decimo posto di questa classifica, ovvero superati anche da Olanda, Belgio e Cipro, troviamo l'Italia dove ne abbiamo 89 ogni 100 mila abitanti, con un numero totale complessivo di 54 mila.

 

Per quanto riguarda invece il numero complessivo di medici in servizio, sia di base sia specialisti, l'Istituto statistico Europeo ne conta in Italia 240 mila, e ci vede al secondo posto come numero assoluto, dopo la Germania, dove se ne contano 345 mila. Ma il nostro Paese è anche quello con la più alta percentuale di medici di età pari o superiore a 55 anni, mentre bisogna sottolineare che una discreta parte dei giovani medici non sceglie più questo tipo declinazione della professione medica ma si orienta verso la specializzazione, oppure va a lavorare all’estero. In tanti, preferiscono poi lavorare nel privato e non nel pubblico. Inoltre, alcune regioni sono in ritardo nelle graduatorie e  nelle assegnazioni di incarichi medici nelle zone sprovviste.

 

Recentemente i ministri della Sanità e della Ricerca hanno incrementato le borse di studio per i medici specializzandi, nonché la revisione dei criteri per l’accesso alla facoltà di Medicina e alle professioni sanitarie. Ma qual è il punto debole di tale iniziativa scaturita per cercare di coprire i ruoli durante l’emergenza pandemica? E’ la formazione: siamo sicuri che a questi medici-studenti (o infermieri-studenti) possa venire garantita una piena ed efficace preparazione medico-clinica-scientifica? Noi crediamo di no, perchè in pratica essa non è possibile a causa dello squilibrio tra le strutture esistenti, il corpo docente e il numero maggiore di studenti.

 

Non dimentichiamo che negli ultimi trent’anni con le varie controriforme sanitarie sono stati accorpati molti reparti/unità operative ospedaliere e universitarie con riduzione dei posti letto e dei relativi primari/direttori/docenti. Basti pensare all’importanza dei tutor nel tirocinio pratico-formativo, oggi messa in discussione perchè il medico insegnante tutor è totalmente impegnato nel suo lavoro proprio a causa della carenza di personale e non può dunque seguire lo studente. Immaginate un corso di specializzazione in cardiochirurgia dove in una sala operatoria dove c’erano 5 o 6 specializzandi all’anno ve ne sono invece oggi 20 o 25: quanto deve essere larga la sala operatoria, anche se la tecnologia aiuta con i video, quando gli specializzandi avranno la possibilità di usare direttamente il bisturi o il robot chirurgico? Senza ipocrisia, bisogna dire a voce alta che nell’immediato futuro avremo a che fare con medici purtroppo, e non per colpa loro, meno preparati. 

 

Come si può dunque immaginare di usare nel modo migliore i fondi del Pnrr senza rimuovere le contraddizioni storiche e le lacune del Sistema sanitario? In primis, il conflitto Stato-Regioni dovuto all’articolo quinto che ha dato vita alle “repubbliche sanitarie indipendenti”: è mai possibile che, solo per fare un esempio, un nuovo farmaco oncologico, sia disponibile solo in alcune regioni e in altre no perchè il bilancio di queste ultime non lo permette? Attualmente dunque le Regioni forniscono un servizio diseguale, a macchia di leopardo

 

Secondo alcuni studi, servirebbero circa 200 miliardi di euro all’anno già dal 2025 per garantire i livelli essenziali di assistenza, in una dimensione di sanità universale, cioè gratuita, per tutti. Questo può avvenire solo a patto che si aumentino le tasse o si aumenti il debito pubblico. Ecco perchè bisogna puntare alla collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore per il welfare selettivo. Qui il discorso si farebbe lungo. Ma quanto sopra spiega perchè i partiti non parlano di sanità in campagna elettorale e perchè ha fatto bene Tiziana Carrabs a sollevare il problema.

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