Senato

Petrocelli, destituirlo dalla Commissione è faccenda complicata

Conte prende ancora le distanze dal senatore filo-Putin. Ma sulla guerra in Ucraina insiste con i distinguo sulla politica atlantista di Mario Draghi

Petrocelli, destituirlo dalla Commissione è faccenda complicata

Potrebbero essere i regolamenti parlamentari a salvare il senatore Vito Petrocelli e la sua poltrona alla presidenza della Commissione Esteri di Palazzo Madama. Il caso del pentastellato filo-Putin, che non ha esitato il giorno del 25 aprile ad augurare in un tweet “Buona festa della LiberaZione”, con un chiara allusione alla ‘Z’ che contrassegna i mezzi militari russi diventata il simbolo della propaganda del regime, scuote il M5S e investe il Palazzo. 

 

Oggi il leader Cinque Stelle, l’ex premier Giuseppe Conte, ha affermato che “Petrocelli è fuori da Movimento senza se e senza ma”. E ha aggiunto: “Per quanto riguarda la sua permanenza in commissione noi siamo per la sua decadenza. Purtroppo, come avete saputo, non ci sono strumenti per farlo. Faremo in modo con iniziative indirette di farlo decadere”. L’’inghippo’ sta in una disposizione regolamentare in base alla quale se i componenti dell’ufficio di presidenza passano ad un altro gruppo, diverso da quello di appartenenza al momento dell’elezione, decadono. Ma non se l’uscita viene deliberata dal gruppo in cui sono stati eletti. Conte chiede perciò aiuto anche agli altri partiti. “Non sono un esperto del regolamento del Senato, però siamo disponibili a valutare con le altre forze politiche tutte le iniziative necessarie. Per noi Petrocelli non può più essere il presidente della commissione Esteri”.

 

In ogni caso i 5S hanno già avviato le procedure per espellere il senatore dal Movimento e dal gruppo parlamentare, ma bisognerà attendere che si “pronunci il collegio dei probiviri che si è appena insediato”. Una soluzione per la commissione potrebbe arrivare dallo scioglimento della stessa e dalla rielezione di tutti i componenti. Ipotesi su cui altri gruppi – dalla Lega al Pd a Iv - sarebbero favorevoli, tanto da aver chiesto alla presidente, Maria Elisabetta Casellati, di procedere in questa direzione. Per prendere una decisone è stata convocata una conferenza dei capigruppo a inizio della settimana prossima.

 

Apprezzamento per le parole di Conte sul senatore filo-russo sono arrivate in mattinata da diversi esponenti politici, soprattutto del Pd. Ma nessun avvicinamento sostanziale si sta prefigurando nel campo giallorosso in merito alla guerra in Ucraina.  Conte ha ribadito i suoi distinguo sull’invio di armi a Kiev: “Come M5s siamo assolutamente contrari a un’escalation militare perché significherebbe ulteriori sofferenze e carneficine”. Dunque: “no ad armamenti sempre più letali. Non è questione della tipologia di armi ma di indirizzo politico, se è quello di difendersi o di contrattaccare: carri armati non ne vogliamo inviare”. Una linea che da qualche settimana i pentastellati hanno maggiormente esplicitato rispetto a un più silente Carroccio. Conte più di Salvini sta rappresentando la punta avanzata del dissenso nella maggioranza sull’aggressione di Mosca contro Kiev.

 

A dieci giorni dalla visita di Mario Draghi a Washington, e a quattro dal suo intervento alla plenaria del Parlamento europeo, le posizioni in politica estera rimangono distanti. Con due conseguenze di rilievo: la prima è che Palazzo Chigi deve confrontarsi con le contraddizioni sempre più marcate degli alleati su questioni internazionali cruciali. La seconda è che la volontà di differenziarsi di una parte della coalizione rispetto alla politica atlantista potrebbe avere delle ripercussioni sull’efficacia dell’operato del governo nei consessi in cui si esprime, a partire da Ue e Nato. 

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